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EDUCAZIONE ALIMENTARE

L'educazione alimentare da spiegare

Comunicazione, educazione alimentare, obesità: ne abbiamo discusso con il professor Sartorio

di Gianluca Torrini
11 Ottobre 2004

Molte iniziative sono state organizzate per combattere i problemi dell’alimentazione: sicuramente queste sono sia un segno di una nuova sensibilità sia una dimostrazione dell’attualità del problema. Ma quanto crede che ci sia ancora da fare perché l’educazione alimentare diventi patrimonio di tutti? Quale può essere il ruolo della scuola e quello degli insegnanti per garantire una buona educazione alimentare?

Archivio DIA, IndireL’educazione alimentare del bambino, sin dalle scuole materne, è bene che venga sviluppata a scuola, con l’aiuto insostituibile degli insegnanti. Per fare questo, è necessario “formare” un corpo di docenti preparati ad affrontare questi temi in modo semplice e chiaro per i bambini, eventualmente con l’ausilio di medici esperti in ambito nutrizionale dell’età evolutiva. L’educazione alimentare (e più in generale l’educazione ad uno “stile di vita” sano) dovrà essere estesa parallelamente anche ai genitori, in modo che il processo rieducativo sia maggiormente efficace anche fra le mura domestiche. In questa direzione il nostro Istituto ha sviluppato un progetto educativo pilota (“Crescita e sviluppo umano”), rivolto a insegnanti e genitori delle scuole elementari e medie di Milano e provincia.

Snacks non troppo sani, attività fisica insufficiente: alimentazione scorretta e una “pigrizia” spesso denunciata, ribadisce anche il Ministro Sirchia, sembrano essere i principali colpevoli per i problemi legati all’obesità. Quali sono, secondo lei, gli argomenti sui quali si dovrebbe puntare per il successo di una buona campagna di comunicazione contro l’obesità?

E’ fuori di dubbio che alimentazione scorretta e sedentarietà sono fattori determinanti l’esplosione del fenomeno obesità infantile nel mondo, per cui sono richieste campagne di informazione e sensibilizzazione a vario livello. E’ altrettanto vero, però, che la lotta all’obesità non può avere successo senza il contributo “effettivo” dei mezzi di stampa (pubblicità corretta) e delle industrie alimentari, che devono favorire la ricerca verso prodotti con maggior potere saziante e basso contenuto calorico. Ad esempio, si potrebbe premiare l’acquisto di prodotti “salutari” da parte del bambino con giochi e/o sorprese e, d’altro canto, penalizzare quelli ipercalorici con costi più elevati e/o confezioni meno attraenti.
Non da ultimo, l’obesità del bambino va affrontata in casa. Se uno o entrambi i genitori sono obesi, non è pensabile avere successo senza una rieducazione globale di tutti componenti della famiglia che abbiano anch’essi problemi alimentari e metabolici. 

Una comunicazione, quindi, che va da subito pensata come destinata a tutti i componenti della famiglia. Quale può essere in questo contesto il ruolo dei nuovi media per una più ampia sensibilizzazione verso l’educazione alimentare?

Internet può essere uno strumento efficace di informazione a distanza per insegnanti e genitori, mediante la creazione di siti dedicati alle problematiche di crescita, alimentazione e sport dei ragazzi, a cui accedere per pareri specialistici, acquisire materiale informativo e scambiare esperienze con altri genitori. Questi siti dovranno sviluppare anche aree “protette” di gioco didattico per bambini sulle tematiche alimentari e sui benefici derivanti da una attività fisica regolare. 

Propio a proposito di bambini, uno studio pubblicato questa estate dall’Archives of Pediatrics Adolescent Medicine afferma che già dalla scuola dell’infanzia le bambine con problemi di peso sviluppano atteggiamenti aggressivi o problemi relazionali. Non sembra bastare quindi una strategia di educazione alimentare rivolta ai più piccoli: anche gli adulti devono essere sensibilizzati sul problema. Conosce alcune esperienze in campo mondiale che hanno riportato successo?

Le esperienze sinora acquisite in America non sono confrontabili con la realtà italiana, per la quale devono essere ancora identificati gli attori (insegnanti, assistenti sociali, psicologi, medici scolastici) e le modalità di intervento nei confronti del bambino obeso e della sua famiglia. Tuttavia, essere un bambino grasso, soprattutto molto grasso, non è certo solo un problema medico. Un bambino obeso non soffre solo nel corpo e non corre solo il rischio di diventare un adulto con maggiori possibilità di ammalarsi gravemente: le sue dimensioni fisiche, il suo essere o, meglio, sentirsi “diverso”, hanno forti implicazioni sia psicologiche che sociali.
La scuola, la famiglia, il gruppo dei pari, tutti gli ambiti di vita e le strutture di appartenenza di cui il bambino è membro e protagonista vivono il suo essere obeso come diversità rispetto al gruppo. Derisi per la frequente goffaggine, ma forti della loro “robustezza” e spesso più alti dei loro coetanei, i bambini obesi possono manifestare atteggiamenti aggressivi e problemi relazionali, che insegnanti e genitori devono essere attenti a cogliere immediatamente.

Prof. Alessandro Sartorio
Primario, Divisione di Auxologia
Responsabile Centro per i Disordini della Crescita
Istituto Auxologico Italiano, IRCCS, Milano e Verbania

 Intervista curata da Gianluca Torrini, Indire Comunicazione

 
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