Indire, sito ufficiale
Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa MIUR
immagine di contorno      Formazione separatore dei progetti      Documentazione separatore barra alta      Didattica separatore barra alta      Comunicazione separatore barra alta Europa
contorno tabella centrale
LEARNING OBJECTS

Note di Antonio Fini sui Learning Object

Una composizione in divenire: gli oggetti didattici e le proposte che portano a costruirli

di Francesco Vettori
03 Dicembre 2004

Antonio Fini si occupa in particolare di Content Management, standard e piattaforme per l'E-Learning. Svolge attività di formazione degli insegnanti su didattica e TIC e di ricerca in ambito tecnologico, collabora con il Laboratorio di Tecnologie dell'Educazione dell'Università di Firenze e con il Master "Progettista e gestore della formazione in rete" della stessa.

Il suo ultimo libro, in collaborazione con Luca Vanni, Learning Object e metadati, quando come e perchè avvalersene, appena pubblicato dalla Erickson, offre lo spunto per una chiarificazione sugli oggetti di apprendimento.   

Quel che appare evidente anche a chi si accosta per la prima volta ai Learning Object è che essi hanno avuto un largo impiego nei Paesi di origine anglosassone mentre in Italia si sta appena iniziando a conoscerli. Quali pensa siano le ragioni di questa differenza?

Sicuramente tre ordini di motivi sono alla base di questa differenza, che allargherei tuttavia a buona parte dell’Europa: naturalmente le difficoltà derivanti dalla lingua, ma anche e soprattutto il ritardo nella diffusione dell’ICT e dell’e-learning, e infine, anche se evidentemente è un effetto del precedente problema, un migliore rapporto con la tecnologia da parte delle istituzioni accademiche e educative in generale.

La lingua sicuramente rappresenta un vantaggio per i Paesi anglosassoni, che possono contare sull’inglese come lingua comune. E’ comprensibile come un repository di Learning Object in inglese possa avere occasioni di impiego,  una diffusione, diciamo pure un “mercato”, molto più vasto di quanto possa averne un sistema basato sulla lingua italiana. A livello europeo la situazione non cambia di molto, anzi c’è un’ulteriore complessità dovuta alle numerose lingue parlate nei Paesi dell’Unione. Vorrei tuttavia citare un progetto: EMDEL, al quale ha partecipato la Regione Toscana attraverso il Progetto Trio, che ha come scopo la costituzione di un catalogo pubblico e aperto di LO, una sorta di “motore di ricerca europeo” per courseware e LO, con particolare attenzione alle problematiche della localizzazione, ovvero della traduzione dei materiali.

Naturalmente il ritardo dell’Italia e di  parte dell’Europa (escludendo la Gran Bretagna) ha influito nella diffusione dell’e-learning, rispetto a Dia Indirerealtà come gli Stati Uniti, Canada o Australia. I paesi anglosassoni possono già vantare una “tradizione” nel campo dell’e-learning che da noi è ancora visto, in alcuni ambienti, come una didattica di “seconda scelta”.

Non ho citato a caso questi Paesi, perché i progetti più significativi nel campo dei LO sono stati sviluppati proprio lì. Tra i tanti ricorderei l’ormai notissimo repository Merlot, i progetti canadesi CanCore, per la definizione di un profilo di metadati, e EduSource,  una rete di repository, il progetto australiano EdNa Online.

Ma le differenze non si limitano ai progetti accademici. Anche nel settore aziendale, che per taluni versi sembra essere quello più adatto all’impiego dei LO su larga scala, si registrano esperienze consolidate all’interno di multinazionali, principalmente del settore ICT, ovviamente basate negli Stati Uniti. Parlo di Cisco, Hp, Autodesk, HP…E’ impressionante l’esperienza di Cisco, passata dai corsi tradizionali all’impiego massiccio di LO per la formazione aziendale e per i corsi di certificazione (si parla di 20000 LO sviluppati, al 2002). Naturalmente anche in questo caso alcune condizioni “ambientali” come la dimensione aziendale, notevolmente superiore alla media delle aziende nostrane, fanno la differenza.

Il cerchio si chiude se pensiamo che la maggior parte degli standard proposti per l’elearning hanno avuto origine da consorzi e iniziative nelle quali siedono principalmente rappresentanti delle stesse grandi aziende e Università americane, canadesi ecc., con scarsa rappresentanza europea. Penso all’AICC, istituito addirittura già nel 1988 per standardizzare i sistemi di autoistruzione utilizzati nell’industria aeronautica, o allo SCORM, nato all’interno di un’emanazione del Dipartimento della Difesa USA.

Il ruolo dell’Europa attualmente appare limitato, come del resto accade nell’ICT in generale, anche se l’UE promuove attivamente iniziative per la diffusione dell’e-learning e per i LO in particolare. Possiamo citare i progetti UE ARIADNE,  attualmente terminato ma che ha dato vita ad una fondazione attiva proprio nel settore dei LO (in particolare l’ambito dei metadati) e CELEBRATE (in conclusione proprio in questi mesi), al quale partecipa anche Indire.

Una delle tendenze pedagogiche in voga è quella di riconoscere l’importanza che ha il saper fare oltre al conoscere di tipo teorico: i Learning Object crede assecondino questa impostazione?

Questa domanda consente di evidenziare il dibattito in corso tra due visioni dell’elearning, basate su paradigmi teorici diversi. E’ ben nota la mancanza di una definizione accettata e condivisa di LO, per cui, aldilà della terminologia (cito, come curiosità, un recente articolo di un ricercatore canadese, Rory McMgreal, nel quale l’autore propone ben 14 termini diversi!), spesso sono assegnati al concetto di LO significati molto diversi.

Ad esempio, se ci riferiamo alla visione veicolata dai principali standard internazionali (SCORM in testa) allora dovremmo intendere per LO soltanto elementi di contenuto, materiali didattici riusabili e niente altro. Il paradigma corrispondente è quindi quello dei sistemi di autoistruzione individuali, della didattica erogativa basata sulla trasmissione della conoscenza, adatta forse più ad “addestrare” che ad “istruire”.

Ben diverso è il discorso se pensiamo alle potenzialità delle reti per il supporto di attività collaborative, di simulazioni, giochi di ruolo, comunità di pratica e altri formati didattici che possiamo far corrispondere, seppur con una certa semplificazione, al paradigma educativo costruttivista e del costruttivismo sociale, che è oggi prevalente, almeno per alcune tipologie di formazione a distanza come la formazione superiore. In questa visione il concetto di LO viene allora in qualche modo esteso, includendovi le metaconoscenze o le “conoscenze tacite” relative all’uso dei materiali, oltre ai meri contenuti.

Ecco che allora, più che di LO, dovremmo parlare di contesti d’uso o di  “buone pratiche”. L’Indire, con il suo progetto GOLD, è un esempio di questo tipo di orientamento, ben esplicitato da un recente articolo di Alvino e Sarti, dell’ITD /CNR di Genova, intitolato proprio “Learning Objects e Costruttivismo”.
Vorrei citare anche la proposta, sulla carta affascinante, di creare un vero e proprio linguaggio formale per descrivere non più il contenuto (come in sostanza ci si propone di fare attraverso i metadati) ma l’intera esperienza didattica, a qualunque teoria pedagogica si ispiri. E’ il caso degli EML (Education Modelling Language) in generale e in particolare dell’EML proposto da Rob Koper della Open University olandese (http://learningnetworks.org) che è diventato, nel corso del 2003, una specifica IMS, denominata Learning Design. Intendiamoci: l’idea di base è più o meno la stessa,  codificare, formalizzare, riusare; però il focus questa volta non è sui contenuti ma sui contesti d’uso, sui formati didattici.

Non si pone più il dilemma sulla “neutralità pedagogica” dei LO, ma si propone un metamodello idoneo a descrivere le esperienze. Non a caso non si parla più di LO (o meglio i LO sono solo una componente) come elemento “di base”, ma di UOL (Unit of Learning) nelle quali sono descritte le persone nei diversi ruoli, le attività, i servizi utilizzati (ad esempio un forum o una chat) e molti altri elementi. E’ una proposta che deve tuttavia ancora essere provata in contesti reali, sono ancora in via di sviluppo i necessari tool per la gestione e l’utilizzo delle UOL.

Per parlare di teoria che riguarda specificamente i Learning Object, un concetto da chiarire è quello di metadata: può spiegarci quanta importanza ha secondo Lei la descrizione dei Learning Object, e dell’esperienza didattica che ha portato alla loro costituzione, e la possibilità di archiviarli e poi reperirli.

Come è noto, i metadati sono “descrizioni”, normalmente strutturate, quindi riconducibili a uno schema, riferite a un qualsiasi oggetto, fisico o digitale. Classico l’esempio dei cataloghi delle biblioteche. Perchè se ne parla con insistenza a proposito dei LO? Ci sono diverse motivazioni: intanto l’idea di poter creare una sorta di “supermercato della formazione”, costituito da repository di piccole risorse didattiche ricombinabili conduce direttamente alla metafora della biblioteca: come fare per classificare, ricercare, ritrovare in modo efficace ed efficiente queste risorse? Come ogni biblioteca che si rispetti, servirà il catalogo!

Quindi: prima motivazione, la descrizione e la ricerca. Non è però sufficiente: se una risorsa deve essere una learning resource o LO, deve essere evidenziata la caratteristica relativa all’uso specifico come risorsa didattica, formativa, altrimenti si tratta di una normale risorsa informativa. In caso contrario (ma non mancano autori che sostengono questa visione), ogni risorsa è un LO ed in particolare l’intero Web è una sterminata biblioteca di risorse. Ecco pertanto la seconda motivazione: le indicazioni didattiche, gli obiettivi, in altre parole,  la necessità di “catturare” l’intenzionalità, come spiega bene Petrucco in un recente articolo apparso su TD. Un po’ banalmente: se un certo oggetto serve a insegnare qualcosa, tra i suoi metadati deve esserci l’indicazione di come deve/può essere usato per raggiungere lo scopo.

Potremmo individuare proprio in questa peculiarità le difficoltà che ancora sussistono nella ricerca di standard relativi allo schema da utilizzare per i metadati didattici. Non si tratta di accordarsi su un elenco di descrittori più o meno complesso ma di condividerne il significato, per di più in una comunità, come quella degli educatori, pervasa da innumerevoli teorie e orientamenti. E’ per questo motivo che la tendenza attuale è piuttosto la creazione di application profile che significa in pratica “ritagliare” parti di standard globali (come l’IEEE/LOM), includervi eventualmente altri descrittori provenienti da altre proposte e costruire quindi un “profilo” valido per una comunità di riferimento che può essere una singola entità ma, ancor meglio, un insieme di queste organizzazioni. E’ il lavoro che sta alla base di diversi progetti, tra i quali il citato ARIADNE in ambito europeo.

Non è un compito facile perché non è sufficiente giustapporre elementi descrittivi ma occorre negoziarne il senso all’interno della comunità di pratica di riferimento.
Non mancano tuttavia progetti ancora più innovativi, che guardano alle possibilità del Semantic Web e cercano di integrare le nuove tecnologie Web, come i sistemi peer-to-peer, RSS, RDF. Qui troviamo allora progetti di costituzione di reti di apprendimento (vedi Koper www.jiime.open.ac.uk/2004/6), oppure di creazione di “profili delle risorse” (Downes in www.jiime.open.ac.uk/2004/5) intesi come un reticolo di metadati, di informazioni aggiuntive, di metaconoscenza  che si “accumula” intorno alle risorse. Un esempio, un primo tentativo direi, è il progetto Edutella, che è in pratica una rete peer-to-peer (simile ai vari Napster, WinMX ecc.) per la ricerca basata su metadati espressi nel linguaggio RDF, che è uno degli elementi fondamentali proposti per la costruzione del Web semantico, il quale, per la verità, tarda ad affermarsi nella pratica quotidiana.

Un punto di forza dei Learning Object sembra essere la loro modularità e adattabilità in contesti diversi: secondo Lei sono queste le caratteristiche più importanti di questi oggetti di apprendimento? Quindi un metodo per realizzare qualcosa di didatticamente significativo assieme alla sua effettiva realizzazione?

Questo è un po’ il fulcro di tutte le argomentazioni sui LO. In pratica ci domandiamo dove stia il reale vantaggio, se dobbiamo ricercarlo solo nelle mDia Indireotivazioni di tipo economico che tutto sommato stanno alla base dell’idea stessa di riusabilità (perché è conveniente riusare? Evidentemente, prima di tutto, per evitare di rifare n volte lo stesso lavoro) oppure se è possibile fare emergere considerazioni più “elevate”, nell’ottica di utilizzare veramente in modo nuovo le potenzialità offerte dalle tecnologie e da Internet in particolare, e non soltanto per replicare all’interno di ambienti tecnologici i formati consueti dell’istruzione, come la lezione frontale.

E’ proprio l’organizzazione dell’apprendimento che potrebbe mutare, il lifelong-learning potrebbe richiedere non solo l’offerta continua di “corsi” veri e propri, in presenza o a distanza, ma la disponibilità di una rete di conoscenze facilmente accessibili, pronte all’uso, attivabili senza grandi formalità, legate ai bisogni formativi, anche di minima granularità, che le persone possono avere durante la vita, in ambito professionale e non. In quest’ottica, una volta che il concetto di LO sia stato svincolato dalla connotazione troppo “istruzionista” che è attualmente dominante, le learning activities, le UOL, o come altro saranno chiamate, potranno rivestire un ruolo fondamentale, i veri “mattoni” sui quali fondare una sorta di Learning Web o, meglio di Web for Learning.

Credo tuttavia che siamo ancora alle prime fasi, perché si parla ancora troppo di questioni tecnologiche. E’ come se, nel dibattito editoriale, si discutesse delle migliori tecniche per stampare i libri, piuttosto che di quello che si è scritto. La tendenza sta però cambiando, man mano che le tecnologie si consolidano e si posizionano sullo sfondo. Siamo in una fase di transizione tra il mondo educativo tradizionale, direi dell’era pre-Internet e quello futuro, che vedrà in primo piano la comunicazione e nuove forme di apprendimento come quelle che ora stiamo solo (faticosamente) sperimentando.

Editing a cura di Francesco Vettori, Indire Comunicazione

 
Articoli correlati

Learning Object: dal dire al fare
di Massimo Faggioli (18 Luglio 2005)

La dittatura dei learning object
di Giovanni Biondi (16 Dicembre 2004)

Learning Object: parola agli insegnanti
di Antonio Sofia (10 Dicembre 2004)

Puntoedu, ambiente di apprendimento
di Silvia Martinucci (23 Novembre 2004)

Officina Puntoedu
di Giusy Cannella (23 Novembre 2004)

Learning object: storia di un oggetto in mutamento
di Valentina Tiracorrendo (05 Novembre 2004)

L.O.: messa a fuoco!
di Valentina Tiracorrendo (05 Novembre 2004)

Oggetto didattico, questo sconosciuto
di Marisa Trigari (05 Novembre 2004)

Costruire oggetti didattici con le banche dati Indire
di Silvia Panzavolta (20 Ottobre 2004)

Peer education: l'educazione tra pari che passa conoscenze
di Silvia Panzavolta (08 Ottobre 2004)

Oggetti Didattici: la valutazione degli insegnanti
di Silvia Panzavolta (29 Settembre 2003)

Come cambierà il tuo lavoro di insegnante con gli Oggetti Didattici?
di Francesca Sbordoni (29 Settembre 2003)

Learning Object, oggetti didattici per l'e-learning
di Silvia Panzavolta (01 Gennaio 2003)