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LEARNING OBJECTS

La dittatura dei learning object

Il "paradosso" dei Learning Object ripropone la questione della dipendenza del modello formativo rispetto agli oggetti didattici

di Giovanni Biondi
16 Dicembre 2004

Superficie 213, Giuseppe Capogrossi, 1956, Archivio Dia, Indire.Il Learning Object si impone ormai al mondo della formazione come una presenza consolidata quanto ancora costantemente mutevole, portando con sé quello che oggi viene comunemente indicato come il "paradosso" del Learning Object. Quest'ultimo, per definizione, è un'unità didattica o risorsa utilizzabile anche al di fuori del contesto in cui è stata creata, mentre, al contrario, il valore didattico di un qualunque oggetto non dipende dal suo solo contenuto, ma anche, e soprattutto, dal contesto in cui viene utilizzato.


Abbiamo chiesto a Giovanni Biondi, direttore di Indire, di accompagnarci nel districare alcuni dei molti dubbi che ancora aggrovigliano “questo sconosciuto” e di indicarci possibili prospettive attraverso le quali oltrepassare questa empasse tutta interna al mondo della formazione ed apparentemente insolubile…


Il modo con il quale sono definiti i Learning Objects, che, secondo la ben nota metafora, devono costituire i mattoncini per la costruzione di un nuovo edificio formativo, presenta numerose ambiguità. Quello della riusabilità di oggetti autoconsistenti ed in grado, grazie agli standard, di ricomporsi, non si è rivelata una reale innovazione finalizzata e capace di incidere sui meccanismi e le strategie dell’apprendimento. Questo non significa sminuire il valore di simulazioni, dimostrazioni animate o di video esemplificativi che stanno al centro dello sviluppo anche degli ambienti di apprendimento, quanto riproporre il problema dell’architettura formativa nella quale inserirli.
Nel contesto degli ambienti di apprendimento non è infatti più accettabile la sudditanza del modello formativo rispetto agli oggetti. Questo significherebbe dare per scontato, pur senza dichiararlo, che il modello sia quello trasmissivo, erogativo, fatto di percorsi preordinati (sistemi a legame forte) dove sono centrali i contenuti. Contenuti scomposti e poi ricomposti secondo una logica sequenziale, intervallati da prove di valutazione e impacchettati secondo standard che definiscono le regole del loro stesso utilizzo. Solo in questo caso, infatti, il tracciamento puntuale del percorso fatto dallo studente risulta fondamentale ed il modello SCORM totalmente adeguato.


Le attività di valutazione assumono infatti un significato particolare quando affrontano il delicato problema della formazione online. Sul tema della qualità in ambito educativo si distinguono due principali orientamenti  di valutazione: il primo punta alla verifica dei meccanismi principali del processo formativo, ovvero gli apprendimenti degli allievi e la qualità delle prestazioni degli insegnanti, il secondo tende invece ad affrontare il problema nell’ottica della qualità certificata, in base a  standard riconosciuti a livello sopranazionale. Nel contesto di ambienti di apprendimento  implementati con il supporto dei nuovi strumenti informatici l’adozione di standard internazionali risulta infatti funzionale alla gestione razionale delle singole attività eterogenee che un processo formativo a distanza su Internet può implicare, in primis la produzione ed il riutilizzo di contenuti. Come riuscire allora a valutare la specificità dei processi di insegnamento/apprendimento nati dall’incontro con le nuove tecnologie tenendo conto delle diverse istanze sottese ai nuovi sistemi di formazione?


Il problema degli standard che attualmente sono collegati al tracciamento rappresenta uno dei temi centrali e, così come è posto generalmente nell’e-learning, porta al centro dell’attenzione i Learning Object. Sono i Learning Objects che portandosi dietro il loro corredo di parametri (SCORM, ad esempio) dettano le regole del tracciamento e quindi in ultima analisi del modello formativo. Ma Le attività di valutazione non possono limitarsi a restituire dati per fotografare una situazione, devono invece poter offrire costantemente spunti per migliorare il processo formativo e dare indicazioni progettuali per le future implementazioni.
L’esperienza che INDIRE ha fatto in questi anni ha appunto esplorato tutti questi aspetti del problema attraverso una base sperimentale che poche altre esperienze nel mondo hanno avuto. Se sommassimo tutti gli iscritti delle varie esperienze condotte in questi ultimi tre anni arriveremmo ben oltre i 700.000 utenti iscritti. Naturalmente molti di loro sono stati presenti in varie iniziative ma il numero degli insegnanti italiani che hanno utilizzato PuntoEdu si avvicina progressivamente ai 500.000, andando a costituire una ampio campione di esperienze che ha permesso di sviluppare un approccio operativo efficiente ed efficace alla programmazione di progetti di e-learning.


Qual è allora il modello di apprendimento che adotta PuntoEdu, l’ambiente online per la formazione blended e-learning promosso da Indire?


PuntoEdu che pure ha conosciuto la ‘stagione delle piattaforme’, degli standards e della centralità dei Learning Objects, ha progressivamente e definitivamente rovesciato questa prospettiva: è l’ambiente di apprendimento che detta le regole anche del tracciamento e non si limita semplicemente a mettere la cornice a tante tessere autoconsistenti che compongono il mosaico.
Ogni corsista non è fruitore di contenuti erogati da una piattaforma, ma soggetto attivo di costruzione partecipata dell’ambiente formativo e delle sue risorse, attraverso un percorso orientato a tradurre il know how individuale in strumento formativo.


Potrebbe spiegarci la posizione assunta dai Learning objects nel contesto della organizzazione della offerta formativa messa in atto con PuntoEdu?


In questo ambiente educativo il Learning Object si configura quale frutto del contesto professionale di ogni singolo corsista ed insieme strumento per la costruzione di tale contesto attraverso il supporto delle strategie didattiche.
La scuola è ambiente di apprendimento per eccellenza, ma non possiede native le competenze utili ad integrare le risorse dei Learning Objects nel contesto della programmazione educativa e quindi ad impiegarne le potenzialità didattiche. L’ambiente PuntoEdu offre un percorso di formazione in servizio che consenta di avviare quel processo circolare di costruzione delle conoscenze e delle competenze in cui il raggiungimento degli obiettivi operativo-didattici si costruisce attraverso la riflessione sulla propria esperienza e sulla sua successiva condivisione all’interno dell’ambiente di apprendimento. L’accrescimento del “sapere” individuale attraverso le tecnologie si traduce quindi in esperienza condivisa di formazione sulle tecnologie.
I Learning Objects progettati per Puntoedu diventano allora materiali collegati ad obiettivi formativi, realizzanti attraverso la scelta della strategia didattica più efficace.
E’ infatti impensabile che possa svilupparsi da parte della scuola un interesse per il mondo dell’e-learning, o meglio del TEL (Technology Enhanced Learning), senza una contestuale analisi degli aspetti pedagogici e dei modelli educativi ad esso sottesi. Per tornare alla questione degli standard, e delle specifiche SCORM in particolare, risulta quindi necessaria ed urgente la riflessione in merito alla evidente mancanza di uno spessore pedagogico a vantaggio invece di una struttura che viene definita spesso troppo americana, legata cioè al così detto modello americano dell’ e-learning.

Eppure l’ attenzione con la quale si guarda allo SCORM come ancora di salvezza rispetto al caos dell’informazione digitale (born digital) è motivata dalla necessità, per altro più che legittima, di salvaguardare gli investimenti fatti nella produzione di oggetti didattici, per quanto non sembri ancora possibile una loro definizione condivisa…


Compenetrazione iridescente n.13, Giacomo Balla, 1912, Archivio Dia Indire.I Lerarning Objects si presentano oggi con dimensioni, strutture concettuali e multimediali tra le più diverse e varie. Ormai la definizione è così ampia che si chiamano Learning Objects anche dei semplici schemi o tabelle, una singola immagine o intere programmazioni didattiche, simulazioni, schede di valutazione o interi corsare tutti riusabili in contesti diversi nel modo più libero. La labilità dei confini confonde più che aiutare ad identificare. Non ha quasi più alcuna efficacia discriminativa e quindi descrittiva. Dietro questa definizione si rischia che ci siano in fondo "le stesse cose". La fiducia poi che il sistema dei  meta data possa risolvere il problema dell’identificazione e della descrizione in funzione della ricerca, svanisce rapidamente se solo consideriamo che i meta data non trattano il contenuto semantico di un Learning Object. A questo problema è riservato, infatti, un campo vuoto che rinvia all’uso di un linguaggio controllato (lista di descrittori o thesaurus).
Ma questo è appunto il problema: la ricerca avviene sul contenuto semantico di un oggetto; molto più marginalmente sui ‘contenitori’ e sugli altri aspetti descrittivi di cui si occupano i meta data (basti pensare che ADL/SCORM prevede la possibilità di descrivere anche gli assets - file audio, pagina html, video…- che compongono l’oggetto). E’ in sostanza come se per accedere ad una biblioteca avessimo cataloghi per autore, casa editrice, numero di pagine, formato, illustrazioni, allegati ma nessun accesso per contenuto.

L’ambiguità del linguaggio libero, i problemi descritti dalla letteratura della ‘documentazione’ (area di ricerca che è bene ricordare rappresenta la storia di INDIRE visto che la BDP ha sviluppato questo settore per almeno venti anni ed è stata alla base delle scelte che negli anni 80 ha fatto di puntare sulle ICT) circa il rumore o il silenzio, l’efficacia degli indici e quindi dell’indicizzazione, restano di fatto totalmente non risolti dai meta data. Il discorso porterebbe inevitabilmente verso il Semantic Web (W3C) e xml. Si tratta ancora di linee di ricerca che ci porterebbero inevitabilmente fuori dalla ragione per la quale ho sollecitato l’attenzione sugli standard.

Che cosa allora NON è un Learning object e quale invece potrebbe essere il ruolo praticabile di questa risorsa nel mondo in divenire della formazione?

I più recenti documenti internazionali indicano nella learning organisation il futuro della scuola; puntare verso questo sistema formativo significa anche e soprattutto studiare ‘nuove materie’, aprire verso prospettive diverse: architettura formativa, comunicazione, linguaggi….e quindi anche nuovi ‘materiali da costruzione’. In questa prospettiva certamente l’attenzione verso i Learning Objects è più che mai viva e la ricerca non può svilupparsi se non attraverso l’integrazione forte tra Pubblico e Privato, come, del resto, non può prescindere da una appropriata valutazione dei risultati delle esperienze condotte a garanzia della qualità e dell’efficacia formativa dei nuovi strumenti e materiali di apprendimento.
E se invece della metafora dei mattoncini assumessimo allora quella degli atomi proposta da David Wiley?

Le strutture atomiche sono più complesse dei mattoncini, hanno al loro interno dei legami che le rendono poi combinabili o meno con altre strutture e soprattutto la loro combinazione porta ad un ‘valore aggiunto’ certamente maggiore di quelle dei singoli ‘mattoncini’.

 

Intervista a cura di Valentina Tiracorrendo, Indire Comunicazione
 

 
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