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SCUOLA-FAMIGLIA

Educare alla partecipazione: la "scuola comunità"

Il ruolo della scuola e della famiglia nell'educazione alla convivenza civile e ai valori democratici

di Concepciòn Naval Duran
24 Febbraio 2005

Dia IndireParlare di convivenza civile vuol dire parlare di partecipazione sociale, perché la partecipazione sociale è una delle forme chiave di vivere il civismo. 
Questa verità, che appare assolutamente evidente, è sempre importante ricordarla perché negli ultimi tempi la partecipazione è diventata uno di quei temi in pratica dimenticati – anche se ne continua a parlare -, che conviene riconsiderare.
E’ evidente la necessità di imparare a dialogare.
Vivere con altri che la pensano come noi o in modo differente perché è qualcosa che si impara, che richiede un apprendimento, una pratica, e proprio questo spesso si dimentica. 
Saper ascoltare, saper dare la parola, saper vincere, saper perdere, saper perdonare, saper rispettare quelli che sono uguali a noi e quelli che non sono tanto uguali, oltre che naturalmente rispettare noi stessi, saper accettare i motivi, le attitudini, gli obiettivi e i sentimenti degli altri, saper condividere mete, sono tutti passi sulla via dell’imparare a convivere, a vivere con altri, che è la questione centrale in un’educazione alla vita civica in una società democratica.
Questo panorama mette in evidenza la necessità di adottare una educazione alla vita civica a tutti i livelli, della quale l’educazione alla partecipazione è il nucleo centrale, dato che la democrazia è direttamente legata alla partecipazione. […]

Ci si può chiedere: che cosa significa partecipare? 
Partecipare, secondo la definizione del dizionario, consiste nell’“aver parte in una cosa o toccargli un po’ di essa”. 
Etimologicamente ha un riferimento al latino participare: un significato attivo del verbo - “prendere parte” - e un significato causativo - “far prendere parte” - che completerebbe l’azione di dare con quella di ricevere nella partecipazione. 
Si disegna così un’altra accezione che è quella di “far parte, dare notizia, comunicare”.
Si deve far notare che la nozione di comune è implicita nei due significati fondamentali della partecipazione: il risultato della partecipazione è, in definitiva, “avere qualcosa in comune”. 

Se ciò che chiamiamo comunità sorge dall’unione di quelli che hanno qualcosa in comune, la partecipazione risulta essere una dimensione inseparabile della comunità. […]

Dia IndireAllora ci si può chiedere se la scuola – lo stesso si potrebbe pensare della famiglia – è, o deve essere, una comunità. 
Se la risposta è affermativa, la partecipazione risulta essere consustanziale all’attività educativa, prima del fatto che la scuola – o la famiglia – sia conformata e gestita democraticamente.  In tal modo la questione della partecipazione nella scuola – per esempio – può essere messa a fuoco in modo interessante, diverso da quello abituale: non si tratta tanto di stabilire se l’esercizio quotidiano della partecipazione può migliorare e consolidare la democratizzazione della scuola, quanto se la democrazia propizia la partecipazione e potenzia la scuola così come potenzia la comunità. […]

Nel parlare dell’educazione alla partecipazione, rimane ancora una questione: che virtualità educativa ha in sé la partecipazione per gli alunni, per i figli e per gli altri membri coinvolti nella scuola o nella famiglia?

La più evidente è indubbiamente la promozione di abiti e di atteggiamenti sociali o civici.
In sostanza, la partecipazione non è fine a se stessa, ma è un mezzo – un mezzo eccellente – per l’azione educativa, in modo particolare nella sua dimensione sociale
Ciò non comporta un declassamento della partecipazione, perché nell’educazione, come in ogni pratica umana, i mezzi sono orientati ai fini, se questi sono tali.
In parole povere, si potrebbe dire che a partecipare s’impara partecipando.

Un mezzo presuppone qualcosa di più che una tecnica; presuppone una cultura. 
Per questa ragione trasferire direttamente le tecniche partecipative dalla società alla scuola o alla famiglia, senza trasformarle in una cultura partecipativa, non sarebbe una formazione politica adeguata. 

Bisogna aiutare a comprendere le ragioni e i principi che sorreggono le pratiche chiamate “democratiche”, oltre che esercitarsi a praticarle.
Se si considerano delle semplici tecniche e non dei mezzi appropriati per percorrere il cammino della formazione umana, difficilmente si educherà nella libertà.
D’altra parte, ogni sistema di partecipazione, specialmente nella comunità educativa, comporta implicitamente un certo rischio che bisogna correre: è il rischio della libertà. […]

E’ ovvio che il nucleo della partecipazione sociale oltrepassa l’ambito della scuola e riguarda molti altri ambiti della vita dell’uomo, come la famiglia, l’impresa e il lavoro, i servizi sociali, le associazioni civiche e le ONG, le manifestazioni e le istituzioni culturali, i mezzi di comunicazione e le nuove tecnologie, le relazioni interpersonali nello spazio pubblico, le consuetudini, l’opinione pubblica, il settore giuridico-politico, ecc.
Comunque la scuola, e ancor più la famiglia, pur non essendo l’unica istituzione coinvolta, gioca un ruolo rilevante.  Sono molti gli elementi, per esempio della vita scolastica, che riguardano la partecipazione: lo stile della direzione, la capacità di primeggiare, lo spirito di collaborazione o meno tra gli insegnanti, lo stile dell’insegnamento, i comportamenti dell’alunno in classe e fuori, la collaborazione dei genitori al Centro, ecc.  
Dia IndireI genitori sono una parte importante all’interno del Centro educativo, anche se in molti casi può sembrare il contrario; però si richiede loro un processo di coinvolgimento maggiore affinché acquistino quel protagonismo che realmente hanno.
Nella vita della scuola, nella vita familiare, assume una particolare importanza ciò che potremmo chiamare l’ambiente, nella creazione delle disposizioni partecipative e dei valori democratici.
Dato che la partecipazione riguarda tutti i componenti della comunità, costituisce una necessità formativa distinguere le diverse maniere in cui si può partecipare per proporre quella più adatta a ciascuno, caso per caso.
Se ci soffermiamo sul grado di influenza della decisione dei collaboratori, abbiamo tre tipi classici di partecipazione: decisoria, consultiva e attiva.  L’efficacia di ognuna di esse dipenderà dal momento, dalla necessità, dalla questione da decidere e anche dal livello di competenza delle persone.  La partecipazione decisoria include, almeno teoricamente, le altre due. 
Ciò significa che non si può pretendere di riuscire a praticare la partecipazione decisoria se prima non si praticano, con responsabilità e agilità, le altre due modalità (consultiva e attiva).
In generale, si può suggerire una partecipazione consultiva a tutti i livelli con ogni persona alla quale compete la decisione che si sta per prendere, tenendo conto, nel caso concreto della partecipazione in un Centro educativo, di quattro elementi:

1) la competenza professionale nella questione di cui si tratta 

2) il grado di responsabilità

3) il grado in cui la persona conosce e accetta il carattere proprio del Centro educativo

4) la relazione giuridica di delega esistente fra genitori e insegnanti.

Riguardo agli alunni, i figli, la considerazione migliore – e con questo vorrei terminare – non è tanto l’utilità pratica della loro partecipazione, che comunque potrebbe esserci, quanto soprattutto la formazione che essa comporta per loro stessi: vale a dire, imparare a prendere decisioni intorno al proprio lavoro, diventando in tal modo capaci della responsabilità che comporta il prendere quella decisioni personali che hanno una ripercussione sul gruppo, lavoro nel quale saranno coinvolti per l’intera vita e per il quale un’educazione alla partecipazione nel quadro della vita civica in una società libera è fondamentale.

 

Prof.ssa Concepción Naval
Universidad de Navarra

 
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