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BULLISMO

Le dinamiche del bullismo

Che cosa si può fare a scuola?

di Francesco Vettori
30 Novembre 2006

Intervistiamo Simona Caravita, docente di Psicologia dell’Infanzia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore e counselling psicologico-educativo C.R.T.I. 

Fenomeni di bullismo sono emersi in questi giorni alla ribalta in tutta la loro gravità: crede ci siano aspetti nuovi in questa emergenza oppure si tratta della manifestazione di un disagio per così dire cronico e ricorrente?

Il bullismo è un fenomeno preesistente ai gravi episodi registrati dalla cronaca nell’ultimo mese. Già nel 1996 le prime ricerche realizzate in Italia su questo tema, coordinate dalla Professoressa Fonzi dell’Università di Firenze, hanno rilevato che il bullismo non solo era presente nelle scuole italiane, ma poteva interessare anche il 40 % degli alunni di scuola primaria. Alte percentuali di coinvolgimento nel fenomeno sono state confermate anche dagli studi successivamente condotti, percentuali che ci collocano tra le prime Nazioni in Europa per l’incidenza di questo problema.
Si può quindi affermare che il fenomeno del bullismo esprime un disagio e difficoltà di comunicazione e controllo del comportamento in certa misura cronici, per quanto tenda a manifestarsi ultimamente con episodi di estrema gravità.
È giusto tuttavia formulare al riguardo qualche considerazione. In primo luogo, per quanto il bullismo costituisca una realtà diffusa anche in passato, non rappresenta per questo un processo naturale di sviluppo o un tipo normale di relazione tra bambini e ragazzi.
Considerare il bullismo come una condotta o una tipologia di rapporto “normale” tra ragazzi implica una legittimazione dei comportamenti prepotenti e rende meno incisivo o addirittura ininfluente l’intervento educativo.
Riconoscere la gravità dei comportamenti prevaricanti a scuola e delle loro conseguenze per la crescita sia delle vittime, che vivono una grande sofferenza, sia dei prevaricatori, che corrono il rischio di intraprendere percorsi di devianza, costituisce la prima forma di contrasto del problema.
A questo riguardo, l’eco che gli episodi di bullismo hanno ottenuto di recente sui mass-media segnala la diffusione nella pubblica opinione di una crescente consapevolezza dell’esistenza del problema, consapevolezza non più riservata ai soli operatori. Ormai si parla di bullismo e siamo in grado di identificarlo. Discutere di questo fenomeno, consci che può riguardare con diversi ruoli e modalità tutti i bambini e i ragazzi, consente quindi di attuare interventi efficaci di prevenzione e contrasto.
È opportuno, tuttavia, che non si identifichi il bullismo con le sole forme più evidenti di prevaricazione: aggressioni e umiliazioni fisiche sono immediatamente riconoscibili come condotte prepotenti ma spesso la prepotenza viene posta in essere in modi più sottili e meno visibili agli occhi degli adulti attraverso l’isolamento sociale, la derisione costante, la diffusione di racconti non veri sui compagni o le compagne prese di mira. Si tratta di comportamenti e atti di “bullismo indiretto” che non possono essere videoregistrati con i cellulari per essere poi pubblicati in internet, ma che sono altrettanto dolorosi e umilianti per chi ne è oggetto.
Se gli episodi più eclatanti attraggono l’attenzione dei media e suscitano il dibattito sul fenomeno, è nella quotidianità della vita a scuola che il bullismo più subdolo, perpetrato con forme meno esplicite di aggressione, miete il maggior numero di vittime. In questa prospettiva sarebbe raccomandabile che gli adulti coinvolti nel processo educativo, in primo luogo gli insegnanti, elevassero la loro soglia di attenzione al problema, acuendo la loro sensibilità alle manifestazioni di disagio meno esplicite dei loro alunni.
Mantenersi in disparte rispetto ai compagni e ricercare sempre la presenza dell’adulto durante i periodi di sospensione dell’attività scolastica, manifestare un’immotivata avversione per la scuola o improvvisi cambi di umore, mostrare un calo improvviso e non spiegabile del rendimento scolastico o sperimentare malesseri fisici ricorrenti, ad esempio mal di testa o mal di pancia, possono essere i segnali di una potenziale vittimizzazione. Anche situazioni più ricorrenti nel contesto scolastico come l’avere sempre i quaderni sgualciti o l’astuccio rovesciato sul banco e gli oggetti sparsi a terra, dovrebbero comunque suscitare una domanda negli operatori scolastici, non per creare un facile allarmismo ma per arrivare a considerare l’eventuale presenza di bullismo in classe come una possibilità da vagliare. Troppo spesso, infatti, nei loro racconti le vittime segnalano la mancata comprensione o la sottovalutazione del problema da parte degli adulti e in particolare dei propri docenti.

Tanti di questi comportamenti si verificano a scuola e non solo tra studenti ma anche nei confronti degli insegnanti. Pare che la storica funzione socializzante della scuola venga calpestata, Lei che ne pensa?

Forme di provocazione nei confronti degli insegnanti, di contrasto a volte violento e di messa in discussione della loro autorità, si sono già verificate negli anni passati, soprattutto nelle fasce di età della pre-adolescenza e dell’adolescenza. Come per le prepotenze tra ragazzi non ci troviamo di fronte a fenomenologie di comportamenti problematici nuove ma semmai più evidenti. Già nei primi studi sul bullismo realizzati nei Paesi Scandinavi negli anni Settanta, Olweus riconosceva come forma di condotta prepotente anche le manifestazioni di aggressività, spesso verbale, che hanno per bersaglio i docenti. Gli alunni più problematici, spesso manifestano nei confronti dei propri insegnanti comportamenti di sfida o irrisione, ricercando il sostegno dei compagni con atti in qualche misura “eclatanti” di contrapposizione esplicita con il docente. Si può arrivare magari a sbeffeggiare l’adulto in classe, immortalandosi con le nuove tecnologie in atteggiamenti offensivi e provocatori ai danni dell’ignaro insegnante, come di recente accaduto.
A volte l’intero gruppo classe può cercare di minare l’autorevolezza della figura adulta del docente con forme di vero e proprio “contro-controllo”, messe in atto attraverso trasgressioni più o meno evidenti delle regole stabilite dall’insegnante.
Ciò che accomuna questi comportamenti con le prepotenze attuate ai danni dei compagni è la scelta della persona nei confronti della quale vengono poste in essere le dinamiche descritte. In genere, infatti, sono gli adulti che appaiono meno sicuri del loro ruolo e quindi più vulnerabili quelli su cui i prepotenti si accaniscono, così come si accaniscono sui compagni più sensibili e meno in grado di difendersi.
In questi termini, considerando il complesso del fenomeno, certo la scuola è chiamata a riappropriarsi della propria funzione socializzante e soprattutto delle proprie competenze educative, talora in secondo piano rispetto agli obiettivi di tipo didattico, in particolare negli ordini di scuola superiore.
Il contesto scolastico, infatti, viene vissuto dai ragazzi prima di tutto come un ambito di relazioni con i coetanei e con gli adulti. Riuscire a stabilire un rapporto franco con i propri allievi, fondato su un dialogo aperto ma in cui il docente non rinuncia al proprio ruolo di guida autorevole, rappresenta un primo passaggio, anche per inviare agli alunni vittima delle prepotenze il messaggio che degli adulti si possono fidare e che agli adulti possono ricorrere.
La scuola, quindi, insieme alle famiglie e alle altre agenzie educative è chiamata a riportare in primo piano le proprie responsabilità educative, soprattutto in un momento come l’attuale in cui vengono a mancare facilmente ai ragazzi punti di riferimento stabili e sicuri entro il mondo adulto.

Altro aspetto rimarchevole è che questi atti vengono immortalati in foto, video, etc. e resi pubblici. Può spiegarci che significato ha per chi li compie?

In effetti di recente sta esplodendo il fenomeno denominato “cyberbullying”, in cui le nuove tecnologie vengono impiegate per dare ancora più rilievo e risonanza alle prevaricazioni che si mettono in atto oppure per rendere ancora più tagliente la prepotenza, ad esempio inviando e-mail offensive. Per comprendere questa nuova manifestazione è bene  riconsiderare il bullismo come un fenomeno con una duplice sfaccettatura in termini di condotta individuale e di manifestazione di gruppo.
Bisogna sfatare lo stereotipo del bullo come ragazzino insicuro e con livelli di autostima bassi. Le ricerche scientifiche ci rimandano un profilo differente del prevaricatore, caratterizzato da una valutazione positiva della violenza come strumento di affermazione personale, dal desiderio di predominare sugli altri, dalla tendenza a manipolare le relazioni a proprio vantaggio e da un’autostima nella media. Inoltre i prevaricatori, almeno alle superiori, ritengono che i compagni li ammirino, come rilevato da Darbo e collaboratori nel 2002. Questo ritratto psicologico lascia ritenere che attraverso le possibilità di facile divulgazione, consentite dalle nuove tecnologie, i prepotenti cerchino sia di infliggere un’umiliazione ulteriore alla loro vittima, sia di ottenere un’affermazione e un riconoscimento, in certa misura pubblici, della loro capacità di dominare.
Oltre a ciò, il bullismo è fortemente influenzato da dinamiche e fattori a livello di gruppo. Grazie al lavoro della Professoressa Salmivalli, una studiosa finlandese tra i massimi esperti del fenomeno, sappiamo che oltre ai ruoli principali di bullo e vittima anche gli altri alunni del gruppo classe partecipano con ruoli diversi alle prepotenze, una parte di essi sostenendo o aiutando attivamente il bullo, una minoranza difendendo la vittima e molti assumendo un atteggiamento passivo di spettatori neutrali. Inoltre le norme informali condivise nel gruppo dei pari possono anche sostenere e giustificare le prevaricazioni ai danni di uno o più vittime. Il gruppo, pertanto, spesso supporta la prevaricazione quanto meno fornendo al prepotente una platea, partecipe o neutrale, davanti alla quale affermare la propria supremazia. Il prepotente può così arrivare a ritenere legittima e socialmente accettata la prepotenza e a non temere, di renderla pubblica grazie alla tecnologia, che gli consente anzi di raggiungere un “pubblico” più ampio.

Occorre tenere presente che le reazioni dei ragazzi a comportamenti del genere, per esempio nei loro blog, non sono mancate e ben presto i giudizi di condanna hanno superato quelli di adesione, riconoscendo  la stupidità della violenza e affermando l’importanza del compito educativo della scuola. Come giudica oggi l’atteggiamento dei ragazzi rispetto al bullismo?

Negli ultimi anni, a più riprese, il tema del bullismo è stato affrontato da educatori, psicologi e insegnanti e la sensibilità all’argomento, anche da parte dei ragazzi, è cresciuta. Per quanto si debba registrare che nelle interazioni quotidiane i ragazzi assumono per lo più un ruolo di accettazione passiva o di sostegno delle prevaricazioni che avvengono, una parte di loro comunque spontaneamente interviene confortando o supportando la vittima e grazie all’azione educativa anche gli osservatori neutrali iniziano a muoversi valutando intollerabili le prepotenze.
Non si deve dimenticare che le valutazioni espresse attraverso internet possono essere l’espressione dei più motivati alla difesa dei coetanei vittimizzati, ma ritengo che in generale si stia diffondendo tra i ragazzi una più matura comprensione della gravità di questi comportamenti. Questo processo deve, comunque, continuare a essere supportato dagli adulti impegnati nell’azione educativa.
In tale prospettiva, le esperienze internazionali di intervento preventivo anti-bullismo, come il programma di Sheffield in Inghilterra o il programma nazionale finlandese che si sta attivando in questi mesi, indicano con chiarezza che certo parlare di bullismo rappresenta il primo importante passo per affrontare il problema ma per contrastare efficacemente il fenomeno è necessario ricorrere a interventi strutturati. Molti di questi interventi si incentrano proprio sulla mobilitazione degli studenti contro le prepotenze, cercando di diffondere tra i ragazzi e nella scuola un ethòs anti-bullismo che sia condiviso e atteggiamenti di supporto della vittima. Ovviamente per ottenere questo risultato gli adulti per primi si devono impegnare e fornire ai giovani modelli e indicazioni chiare. Tuttavia i ragazzi costituiscono una delle risorse, se non la risorsa principale, a cui ricorrere per combattere il bullismo.

Sul bullismo è scaricabile una una bibliografia tematica, curata da Franca Pampaloni, responsabile della Banca Dati BIBL di Indire

 

 

 
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