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INTERCULTURA

La via italiana all'intercultura

La prospettiva interculturale come paradigma dell'identità

di Vinicio Ongini
20 Febbraio 2008

L’Osservatorio per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale, istituito dal ministro il 6 dicembre 2006 e presieduto dal sottosegretario Letizia De Torre, ha messo a punto un documento dal titolo significativo: “La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri”.
Il documento è stato presentato in conferenza stampa nell’ottobre 2007 ed è disponibile sul sito del ministero.
L’accento , posto nel titolo, su “ italiana “, rivela l’intenzione di dare una indicazione segnaletica più precisa, una cornice unitaria all’insieme delle politiche educative nazionali sull’immigrazione. Un utile punto di vista, dunque, per partecipare al dibattito e alle riflessioni che ci porterà l’anno europeo per il dialogo interculturale.

L’Italia, pur essendo un Paese di recente immigrazione, si presenta nel confronto con altri Paesi europei con una sua specificità, con un suo “modello” (ma, sempre nel titolo del documento, si è preferita la parola “ via “ che è più dinamica e aperta). Una specificità che è fatta  di principi, di azioni, di esperienze, di strumenti di lavoro e modelli organizzativi costruiti sul campo dalle scuole e dagli Enti locali.
Sono quattro i principi generali a cui si può ricondurre questo ricco e variegato patrimonio.

L’assunzione del criterio universalistico per il riconoscimento dei diritti dei minori, innanzitutto, introdotto fin dagli anni novanta a partire da due elementi valoriali forti:

  • l’applicazione alla realtà italiana delle norme previste dalla Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia, approvata in sede ONU nel 1989, ratificata dall’Italia nel 1991 e confermata nelle normative di quegli anni sulla tutela dell’infanzia e dell’adolescenza;
  • la tradizione della scuola italiana messa a punto già negli anni settanta nei confronti delle varie forme di diversità.

Ciò ha significato riconoscere che l’istruzione è un diritto di ogni bambino – quindi anche di quello che non ha la cittadinanza italiana – considerato portatore di diritti non solo come “figlio” data la sua minore età, ma anche come individuo in sé, indipendentemente dalla posizione dei genitori e anche indipendentemente dalla presenza dei genitori sul nostro territorio. 
L’istruzione scolastica è un dovere che gli adulti devono rispettare e tutelare, in particolare per quanto riguarda la scuola dell’obbligo. Tutti, inoltre, devono poter contare su  pari opportunità in materia di accesso, di riuscita scolastica e di orientamento.

Questa prospettiva è adottata dall’Unione Europea, espressa nelle sue dichiarazioni e direttive.

La scuola italiana, e questo è il secondo principio, si è orientata fin da subito a inserire gli alunni di cittadinanza non italiana nella scuola comune, all’interno delle normali classi scolastiche ed evitando la costruzione di luoghi di apprendimento separati. Diversamente, dunque, da quanto previsto in altri Paesi e in continuità con precedenti scelte della scuola italiana per l’accoglienza di varie forme di diversità (differenze di genere, diversamente abili, eterogeneità di provenienza sociale). Si tratta dell’applicazione concreta del più generale principio dell’Universalismo, ma anche del riconoscimento di una  valenza positiva alla  socializzazione tra pari e al confronto quotidiano con la diversità. 
 
La pedagogia contemporanea, sia pure con varie sfumature, è orientata alla valorizzazione della persona e alla costruzione di progetti educativi che si fondino sull’unicità biografica e relazionale dello studente, come confermato nelle Nuove Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo dell’istruzione. Si tratta di un principio valido per tutti gli alunni, particolarmente significativo nel caso dei minori di origine immigrata, in quanto rende centrale l’attenzione alla diversità e riduce i rischi di omologazione e assimilazione.

La scuola italiana, infine, sceglie di adottare la prospettiva interculturale - ovvero la promozione del dialogo e del confronto tra le culture – per tutti gli alunni e a tutti i livelli: insegnamento, curricoli, didattica, discipline, relazioni, vita della classe.
Scegliere l’ottica interculturale significa, quindi, non limitarsi alle sole strategie di integrazione degli alunni immigrati, o a misure compensatorie di carattere speciale. Si tratta, invece, di assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola nel pluralismo, come occasione per aprire l’intero sistema a tutte le differenze (di provenienza, genere, livello sociale, storia scolastica).
La strategia del dialogo interculturale evita di separare gli individui in mondi culturali autonomi ed impermeabili, promuovendo invece il confronto, il dialogo ed anche la reciproca trasformazione, per rendere possibile la convivenza ed affrontare i conflitti che ne derivano.
La via italiana all’intercultura dunque unisce alla capacità di conoscere ed apprezzare le differenze la ricerca della coesione sociale, in una nuova visione di cittadinanza adatta al pluralismo attuale, in cui si dia particolare attenzione a costruire la convergenza verso valori comuni.
L’introduzione trasversale e interdisciplinare dell’educazione interculturale nella scuola risponde alla necessità di lavorare sugli aspetti cognitivi e relazionali più che sui contenuti. Tuttavia, è chiaro che questo approccio non può divenire un alibi per continuare sulla via delle improvvisazioni, eludendo l’introduzione di uno spazio curricolare specifico. Uno spazio di questo genere deve essere concepito nella forma di una nuova “educazione alla cittadinanza” e in un ambito di questo tipo potranno essere integrati gli aspetti più propriamente interculturali. Come direzione più valida va indicata, in sintesi, un’educazione alla cittadinanza che comprenda la dimensione interculturale e si dia come obiettivi l’apertura, l’uguaglianza e la coesione sociale.

Anche se lo spazio per l’intercultura non è individuabile in una disciplina specifica, ma può essere considerata come una prospettiva attraverso cui guardare tutto il sapere scolastico, si rende necessario ripensare la collocazione della prospettiva interculturale all’interno dei curricoli, tenendo presente sia l’obiettivo dell’apertura alle differenze, sia il fine dell’uguaglianza tra gli alunni e della coesione sociale.
Sono da coltivare gli orientamenti assunti in molte scuole per ridefinire saperi e competenze in una prospettiva autenticamente interdisciplinare, arricchendoli con l’integrazione di fonti, modelli culturali, punti di vista “altri”.
Storia, geografia, letteratura, matematica, scienze, arte, musica, nuovi linguaggi comunicativi e altri campi del sapere costituiscono un’occasione ineludibile di formazione alla diversità, permettendo di accostarsi non solo a diversi “contenuti”, ma anche a strutture e modi di pensare differenti.   
 
Una rinnovata visione della formazione  degli insegnanti come “sensibili alle culture” mira ad una costruzione  di tipo riflessivo della personalità dei docenti, per renderli capaci di apertura alla diversità e capaci di leggere il bagaglio culturale degli alunni nei loro aspetti singolari e soggettivi. L’educazione al dialogo interculturale si configura, dunque, come una prospettiva di innovazione dell’insegnamento complessivamente inteso .
 
 

 
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