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MEDIA EDUCATION

Il valore educativo delle dinamiche del gioco

Videogiochi e apprendimento collaterale

di Andrea Benassi
21 Febbraio 2012

Andrea Benassi, ricercatore presso l'Istituto Indire, è autore del recente articolo Videogiochi e Apprendimento Collaterale, qui scaricabile in versione integrale.
Per presentare i temi affrontati e approndirne i punti salienti, lo abbiamo intervistato.

Immagine tratta dall'Archivio DIANel suo articolo, lei parla di gioco e di divertimento, sottolineandone le differenze: può spiegare che cosa lega e distingue i due concetti nel contesto educativo?

Mettiamola così: il divertimento non è (più) in discussione in ambito educational, anzi. L'apprendere divertendosi è uno degli obiettivi più perseguiti dalle istituzioni scolastiche negli ultimi anni. E non è più in discussione neanche il gioco di per sè, da Huizinga in poi. Il problema è come valutare il valore educativo di un (video)gioco. In tanti sono sono abituati a pensare "bello questo gioco! Ma non vedo quale possa essere il suo valore educativo perchè è ambientato in un mondo di elfi". Classico l'esempio di un'azienda che tentò la carta del mercato educational ri-ambientando un MMORPG nell'Inferno di Dante (con scarsi risultati in termini di giocabilità), "così i ragazzi avrebbero imparato la Divina Commedia". Ecco... è questo l'errore che si fa quando si pensa che il valore educativo di un videogioco stia nei suoi contenuti e non nelle sue dinamiche.
Poi, ovviamente, c'è anche un'abitudine a separare nettamente ciò che educativo da ciò che non lo è: è educativo solo ciò che nasce con questa finalità.Il che ci porta direttamente al punto seguente.

Prendo le parti del diavolo e provocatoriamente le chiedo: se le strutture istituzionali regolano l'esperienza del gioco, come può SCRIVERLO il giocatore?

Pensi al "mondo reale": esistono la dittatura e la democrazia. I vincoli posti dalla prima sono più stretti e, generalmente, regolano l'esperienza di vita del cittadino in maniera molto più rigida. Lo stesso avviene in molti giochi con finalità educative, nei quali si vuole che il giocatore raggiunga gli obiettivi in un certo modo prestabilito dal progettista del gioco. Le possibilità di scrittura da parte dei giocatori sono ovviamente più limitate: il rischio è che a quest'ultimo non rimanga altra facoltà che di "scorrere" il gioco. Per "potere" nel contesto del videogioco si intende generalmente la possibilità, anzi la facoltà di negoziare le regole. Henry Jenkins sostiene che un ragazzo nel mondo reale ha scarsissime possibilità di negoziazione, a partire proprio dalla scuola. I ragazzi, nella realtà, subiscono le regole imposte dai "grandi", non le negoziano. Invece i videogiochi come le simulazioni, abbassando drasticamente le conseguenze dell'errore, consentono di aumentare le loro capacitò di negoziazione.

La riscrittura del gioco riprende la negoziazione del senso di un testo letterario, il ruolo attivo del lettore riconosciuto dall'ermeneutica. Lei che ne pensa?

Nel caso dei videogiochi non si tratta solo di negoziazione di senso, come nei libri: qui oggetto di negoziazione è la narrazione stessa! Non solo il senso attribuito, ma la storia stessa differisce da giocatore a giocatore. Possiamo anche richiamare il termine specifico di affordances. L'affordance è quell'insieme di azioni che un videogioco "invita" a compiere su di esso, al di là delle regole del gioco. Il termine affordance infatti può, in questo contesto, essere tradotto con "invito"; esprime qualcosa che non appartiene né al gioco stesso né al suo fruitore ma viene creato dalla loro relazione. È, per così dire, una proprietà "distribuita". 

È interessante capire come il giocatore passa dal gioco alla realtà. Attraverso il dialogo, l'esperienza che matura nel gioco con gli altri?

Prendiamo ancora il caso dei MMORPG: pur se in un contesto fictional, interagire in gruppi organizzati significa dover imparare a gestire i conflitti, sapersi assumere ruoli e responsabilità. Qui subentra anche il ruolo dell'educatore, che ha il compito di favorire e stimolare la metacognizione e la riflessione sull'esperienza che si sta facendo ed eventualmente intervenire qualora le dinamiche relazionali nel gioco lo richiedano. È un processo inverso a quello tradizionale, dove prima si studia un argomento e poi - se possibile - lo si applica.

Come comunicano fra loro i giocatori? Che forme di comunicazione prevede il gioco, nello specifico quello citato nel suo articolo?

I giocatori comunicano in gioco attraverso una chat. Alcuni preferiscono usare una chat vocale, magari tenendo aperto Skype mentre giocano. Nel caso della sperimentazione GReIS al Liceo Marconi di Milano, il gioco avveniva in classe, quindi c'era una doppia interazione e comunicazione, dentro e fuori dal gioco. In quel caso la dimensione virtuale di gioco e quella reale di classe, andavano a sommarsi.
Se guardiamo alle indicazioni in ambito educativo delle principali organizzazioni internazionali (UNESCO, OECD, EU) appare evidente come quello che avviene nei videogames abbia una forte relazione con quel processo di ridefinizione degli obiettivi e metodologie delle istituzioni scolastiche attualmente in corso. Questo processo si concentra infatti sulla transizione dal paradigma delle conoscenze a quello delle competenze.
La competenza viene qui intesa come “qualcosa più che conoscenze e abilità”: “implica la capacità di rispondere a richieste complesse facendo affidamento e mobilitando risorse psicologiche (comprese abilità e attitudini) in un particolare contesto” (OCSE-CERI, 2007).

Allo scopo di sondare gli effetti di World of Warcraft (WOW) sulle competenze e le interazioni sociali degli adolescenti, è stata condotto una ricerca presso il Liceo scientifico "Marconi" di Milano. La sperimentazione ha coinvolto le 7 classi prime, e ha previsto l'utilizzo di WOW in classe per un periodo di 10 settimane. Sono state analizzate le interazioni sociali sia dentro che fuori dal gioco, integrando metodi sia qualitativi che quantitativi. I risultati mostrano come l'esperienza di gioco abbia chiaramente influenzato in positivo il livello di adattamento sociale dei gruppi classe coinvolti rispetto alle classi che non hanno giocato.

 

 

 
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