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Dalle mappe concettuali allo spazio digitale

Il valore epistemologico e didattico delle mappe concettuali

di Francesco Vettori
03 Luglio 2012

Nelle intenzioni del suo inventore Joseph Novak una mappa concettuale è una rappresentazione della conoscenza. Semplice affermazione che pone una serie di problemi, cui si cercherà di rispondere, nella necessità di capire tanto cosa si intende per conoscenza quanto, in questo contesto, la funzione della rappresentazione.
Una mappa concettuale risulta piuttosto semplice da realizzare, nel senso che i suoi elementi, le relazioni che li collegano e la cornice in cui si inseriscono sono chiari, distinti e stabili. Essa è infatti costituita da etichette di concetti [1], che si dispongono gerarchicamente - dall’alto al basso - secondo un ordine che va solitamente dal generale e più inclusivo al particolare e più specifico.
Le relazioni fra i concetti non sono solo di tipo gerarchico ma anche trasversale per quelli appartenenti allo stesso livello e sulla mappa visualizzate da segni, come linee, frecce, tratteggi, che mostrano quali legami vi sono fra le etichette, esplicitabili anche da parole e proposizioni.
Etichette e disegni, parole e proposizioni sono incluse entro uno spazio di rappresentazione che la mappa concettuale delimita.
Cercheremo prima di tutto di intendere la funzione delle etichette e affrontare la questione dei loro referenti, il fatto che questi siano concetti.
Se dunque confrontiamo etichetta [in inglese, label] e segno linguistico, la prima non è pensabile come il segno teorizzato per esempio da De Saussure[2], in cui il rapporto fra significato e significante è non solo arbitrario e convenzionale ma anche ambiguo.
Sulla mappa l’etichetta istituisce infatti un rapporto diretto con il referente, agendo come una sua immagine, e visto che i referenti sono dei concetti, viene spontaneo chiedersi che cosa fa, in una mappa, di un concetto un concetto.
Essenziale è quindi interrogarsi sul ruolo della rappresentazione, anche perché alla mappa nel suo complesso si attribuisce un valore strumentale, le mappe concettuali si afferma siano un mezzo, presto trasformatosi in metodo e in tecnica, per arrivare al significato e all’apprendimento significativo[3].
Importa infatti giungere ai significati senza fermarsi alla rappresentazione con l’apprendimento rappresentativo considerato uno fra diversi momenti conoscitivi.
Nelle parole di David Ausubel, teorico del cognitivismo nordamericano, alla cui tradizione Novak più si richiama: “Quest’ultima forma di apprendimento rappresentativo,che segue l’apprendimento concettuale,è già stata discussa; generalmente costituisce l’ultima fase nella formazione del concetto. Nei casi in cui il simbolo verbale è appreso meccanicamente,in assenza dei processi precedenti, non ha alcun riferimento con una idea e non rappresenta un concetto genuino.”[4]
Il piano della rappresentazione è altro rispetto a quello dei significati e si dà anche il caso che in esso ci si limiti a registrare meccanicamente i passaggi che portano ad essi. Nella mappa dunque troviamo rappresentazioni dei concetti e il fatto che questi siano rappresentati la pone ad un livello conoscitivo inferiore rispetto a quello dei significati. Ancora citando Ausubel: L’ultimo gradino nella formazione di un concetto consiste nello stabilire una equivalenza dal punto di vista della rappresentazione tra il simbolo generico (il nome di un concetto) e il contenuto cognitivo generico da esso evocato. Questo in realtà non fa parte di per sé del processo di formazione del concetto, ma è un esempio di apprendimento sul piano della rappresentazione, che avviene dopo che questo processo si è completato”[5].
Dunque con Ausubel e Novak[6] ammettiamo che i significati connotativi e denotativi del segno verbale, pur socialmente determinati, rimangono essenzialmente diversi per ognuno di noi, però aggiungiamo che in una mappa concettuale le etichette s’impongono a concetti unici, vale a dire che l’etichetta “casa”, perché supposta rappresentarne il concetto, identifica tutte le case, per cui alla varietà dei significati personali del segno linguistico corrisponde sulla carta la fissazione dei concetti mediante le etichette. La questione è rilevante poiché oggi questo tipo di mappe è usato a scuola per facilitare e promuovere l’apprendimento e perché, richiamando dei processi mentali, esse sollevano problemi di natura eminentemente epistemologica.
Può certo dirsi, come chiaramente Ausubel e Novak fanno, che la loro utilità è strumentale: esse sono un mezzo per arrivare ai significati, che sfuggono allo spazio della rappresentazione, il cui valore non sta quindi nella mappa ma nei significati che siamo in grado di attribuirle.
Bisogna però chiedersi come mai la rappresentazione per un verso porti alla fissazione dei concetti sulla carta e per l’altro venga separata dai significati.
Nella sua apparente semplicità la mappa concettuale nasconde infatti sistemi espressivi diversi fra loro e il valore conoscitivo dei concetti nella rappresentazione resta da definire, secondo Ausubel:
“Si può capire che cosa il concetto significa solo imparando quali sono i suoi attributi determinanti e che cosa significano. Questa è per definizione una forma personale e soggettiva di apprendimento di significato. Perciò l’apprendimento del significato di un termine concettuale presuppone sempre che il discente apprenda prima in modo compiuto che cosa significa il suo referente (il concetto), anche se l’effettivo apprendimento per simbolizzazione connesso non è, nelle sue modalità, diverso da quello che si ha nell’imparare il significato di parole che non rappresentano concetti.”
Mentre dunque sul piano della rappresentazione non fa alcuna differenza che il referente sia un concetto o meno, poiché l’apprendimento per simbolizzazione è il medesimo, per i significati questa indifferenza non è ammessa, nel caso dei concetti “occorre apprendere prima, in modo compiuto” il loro significato.
Come mai dunque sulla carta si rappresentano proprio dei concetti, delle “regolarità […] definite attraverso una etichetta” ma il cui “significato è personale e soggettivo”? Medesima questione si presenta per la formazione della struttura cognitiva poiché si afferma che l’apprendimento significativo nasce dall’integrazione in essa in modo non meccanico di conoscenze nuove e conoscenze precedenti e occorre avere acquisito la capacità di attribuirgli significato[7].
Partiamo allora dalla mappa dato che, se essa viene impiegata come uno strumento per arrivare ai significati, il suo uso precede gli stessi, contraddicendo le affermazioni sopra riportate oppure si è costretti, come Ausubel fa, ad escludere la rappresentazione dalla formazione del concetto[8].
Però non si capisce come essa possa giustificarsi sia da un punto di vista conoscitivo, visto che le si assegna “il gradino ultimo nella formazione di un concetto”, per separarla da essa, sia strumentale poiché, come l’uso delle mappe concettuali dimostra, non le appartengono i significati.
Occorre quindi prestare la massima attenzione al fatto che nella formazione del concetto si produce “una equivalenza dal punto di vista della rappresentazione”, con uno scambio fra i concetti rappresentati e, si noti, i significati costruiti, cioè appena formati.
Sul piano della rappresentazione le mappe infatti sono del tutto incomprensibili poiché alla lettera insignificanti e acquisiscono senso solo con una equivalenza che trascende la rappresentazione stessa. Tanto è vero che il significato dei concetti non è rappresentato, rappresentabili sono infatti i concetti non i loro significati. Con questi il sistema di equivalenze concettuali, per cui la singola casa grazie alla rappresentazione sta per tutte le case, non funziona perché il significato è sempre personale e soggettivo e risulta quindi impossibile qualsiasi scambio.
Ciò che invece la mappa fa istituendosi a piano di rappresentazione e quindi fondando il sistema di equivalenze che determina di volta in volta che cosa è presente.
La formazione definitiva del concetto, sancita dalla sua rappresentazione, avviene dunque per un atto di natura eminentemente ideologica, vale a dire con uno scambio [9].
Tornando allora alla mappa e alla sua costituzione, diremo che essa opera innanzitutto per via di selezione e ipotizziamo che una prima giustificazione dell’attributo concettuale stia proprio in questo: se è vero che l’esperienza viene filtrata dall’intelletto secondo alcune categorie, per cui dall’immediatezza della percezione passiamo ad un suo contenuto mentale, la mappa concettuale si realizza allo stesso modo per selezione e semplificazione.
Secondo Novak, sulla scorta di Ausubel, si conosce riconoscendo delle regolarità, vale a dire traducendo in concetti le costanti esperite, poi le loro relazioni, cioè stabilendo regolarità di ordine diverso[10].
Possiamo quindi tenere come pietra di paragone delle mappe concettuali l’attività mentale, tanto che Novak parla di metaconoscenza nella convinzione che, chiarendo quali processi mentali si attuino quando conosciamo, essi potranno essere identificati, ordinati e promossi. Da qui l’importanza delle mappe concettuali in ambito educativo.
Scendiamo dunque al concreto costruirsi della mappa e procediamo all’analisi dei sistemi segnici in essa impiegati.
Abbiamo detto che secondo Novak la mente opera discriminando delle regolarità e che esse sono rappresentate sulla mappa come concetti, generalmente da parole, comunque intercambiabili con risorse di tipo diverso. Tale varietà conferma che esse funzionano da etichette sostituibili le une con le altre: per esempio, le regolarità che identificano una casa possono essere ugualmente rappresentate sulla mappa dalla parola casa come da una sua fotografia, poiché entrambe richiamano il concetto “casa”. Nella mappa concettuale ha infatti importanza non tanto il tipo di etichetta quanto la relazione con il referente, non che si usi una parola piuttosto che una fotografia quanto che entrambe si riferiscano alla regolarità definita come casa, per cui non è lecito a un alunno che guarda una sua foto intendere per esempio una finestra.
Deve quindi esserci accordo su che cosa l’etichetta rappresenti ed è così che la relazione dell’etichetta rispetto al referente risulta di natura biunivoca, per citare il classico Wittgenstein del Tractatus Logico-philosophicus: “Il segno è la cosa. La cosa è il suo significato”.
Succede cioè che l’etichetta nello spazio di rappresentazione della mappa operi come un nome proprio, secondo la teoria dei nomi propri e delle descrizioni definite di Russell e Whitehead[11].
Sorge però il problema che spesso si impiegano etichette diverse per esprimere uno stesso concetto e viceversa, problema risolvibile grazie ai connettivi: anche in questo caso Novak[12] è estremamente esplicito, l’utilità della mappa concettuale stando prima di tutto in una esemplificazione della struttura gerarchica esistente fra i concetti.
Senza scendere nei particolari, ci limitiamo a ricordare che in essa i concetti più importanti occupano la parte alta secondo un ordine che va dal generale al particolare, i più comprensivi in alto e via via a seguire di sotto. Così si esplicita una gerarchia, seguendo un’unica regola, in alto sta il più importante e generale, in basso il meno, con una disposizione spaziale che rompe la linearità del discorso verbale scritto.
Lo spazio della mappa concettuale quindi si differenzia secondo una serie di livelli su cui si dispongono le etichette, fra loro unite da linee, frecce, disegni, il cui legame è specificabile da parole e proposizioni. Ma è proprio nel caso in cui si introduca il linguaggio verbale per i connettivi fra i concetti che si mescolano elementi appartenenti a sistemi profondamente diversi.
Poiché abbiamo parlato di spazio, guardiamo allora alla tradizione geografica e all’ambiguità del termine geo-grafia, con il greco γραφειν a significare tanto disegno quanto discorso, per segnalare che etichette e disegni rimandano chiaramente al primo significato, ad un sistema i cui valori sono fissati una volta per sempre dal codice cartografico, invece parole e proposizioni al secondo, ad un sistema aperto, cui ogni atto linguistico riporta.
Si enfatizza oggi l’utilità delle mappe concettuali per l’organizzazione della conoscenza, sostenendo che manifestano la struttura gerarchica fra i concetti mentre la successione lineare delle parole e dei periodi la nasconderebbe, per cui loro ulteriore merito starebbe nel superamento della sequenzialità delle frasi. Confrontiamo quindi su questo punto codice della mappa e linguaggio alfabetico.
Pur seguendo la frase verbale un andamento lineare, ciò non impedisce che fra parole e periodi siano stabilite delle relazioni gerarchiche e, a lasciar stare gli usi stilistici generati dalla loro disposizione, ciascuna lingua possiede una sintassi che è parte integrante della sua grammatica.
Per cui nella successione delle parole e relativa punteggiatura sono articolati per ogni lingua una miriade di rapporti non esprimibili dagli elementi grafici presenti in nessuna mappa concettuale, tanto per la natura del segno linguistico quanto per la ricchezza di significati delle proposizioni.
Se poi sulla mappa è immediatamente riconoscibile una gerarchia secondo la norma già ricordata, occorre anche osservare che le etichette concettuali risultano racchiuse entro un riquadro, ancora un disegno, che richiama senza dubbio il rettangolo intemporale di Foucault, vale a dire l’ordine di classificazione proprio delle scienze naturali.
Ribadiamo che quest’ordine si nutre di spazio e che la natura cartografica del rettangolo è stata svelata[13] e che, nello specifico, quando prevale la mappa rispetto al discorso, il disegno rispetto alla parola, nel nostro caso la rappresentazione rispetto al significato, si assume un codice la cui prima ragion d’essere è la conservazione dell’esistente.
Le mappe concettuali nella loro semplicità incorporano però due sistemi espressivi finora rimasti separati, rispondenti a logiche diverse: un codice di tipo matematico da una parte, il linguaggio alfabetico dall’altra. In questa associazione sta la loro autentica novità, associazione di cui i moltissimi software sul mercato per la creazione di mappe concettuali non sembrano tener conto. L’opportunità che il passaggio dall’analogico al digitale offre non sta infatti nella moltiplicazione degli strumenti e nell’accumulo delle risorse disponibili, quasi si sia già dimenticata la lezione, per rimanere alla geografia, della cosiddetta “rivoluzione quantitativa”[14], ma piuttosto nel connettere/sconnettere ciò che finora era separato/unito, il digitale nel suo complesso fornendo un nuovo contesto, con trasformazioni davvero rilevanti[15].
Integrando in sé la parola/proposizione le mappe concettuali uniscono ciò che per la tradizione geografica finora è rimasto separato e rompono il piano di rappresentazione poiché la spiegazione dei connettivi fra i concetti che parole e proposizioni danno rimanda a un sistema, la lingua, che racchiude significati non ricavabili da un codice ma da negoziare fra i parlanti.
E da tali significati emerge ancora l’importanza del digitale in uno dei suoi aspetti più caratterizzanti, la progettazione.
E’ evidente infatti che, se nella mappa concettuale ci si limitasse ad inserire qualche parola oppure poche e brevi proposizioni a esplicitare il legame gerarchico fra i concetti, l’impiego del linguaggio verbale sarebbe del tutto sospetto. Occorrerebbe chiedersi se la sua integrazione alla mappa non ne condizioni l’uso, nel senso che parole e proposizioni finirebbero per funzionare come descrizioni definite secondo la già ricordata teoria di Russell e Whitehead.
Tale teoria è stata messa in crisi dalla constatazione che pur non essendo “nomi propri” e “descrizioni definite” la stessa cosa, le seconde, per il ricorso che Russell fa al principio di riferimento, si comportano esattamente come i primi.
Il principio di riferimento, uno dei cardini del discorso scientifico di stampo positivista, dice che un enunciato paradigmatico del tipo “la tal cosa è così e così” è ritenuto equivalente a “una sola ed unica cosa è così e così”, [16] con lo stesso rapporto biunivoco rispetto ai referenti dei nomi propri. Ma la descrizione definita ha significato solo entro il contesto in cui si presenta, non avendo significato in sé, "poiché il significato di una descrizione definita non è la cosa che descrive."[17]
Ricordando quanto abbiamo detto, si capirà che il principio di riferimento vale prima di tutto per i concetti, per cui una casa sta per tutte le case, un’unica etichetta rappresentandole tutte, concetto di casa. Circa poi la descrizione definita ogni variabilità di contesto è determinata unicamente dalla mappa.
Come dunque si configura l’intervento del digitale?
Se in definitiva esso offre il supporto in grado di accogliere in sé risorse di svariato tipo e promuovere l’uso di media diversi, intanto consente la creazione di vere e proprie formazioni ibride[18]. Di più, per la sua variabilità e natura liminare[19], spinge a riflettere sul valore dei media in quanto strumenti, il loro uso e la loro logica interna, nel caso in questione a ripensare la rappresentazione come una tecnica e la mappa come il modello per la formazione dei concetti.
Ciò dovrebbe portare anche ad interrogarsi sulla rappresentabilità cartografica, vale a dire su che cosa è possibile rappresentare sulla carta. Circa l’uso digitale di media diversi, basterebbe chiedersi se, per esempio, uno speakerato può entrare a far parte di una mappa, non solo in quanto file sonoro, visto che la sua inserzione tecnica non presenta problemi, ma anche come espressione di una viva voce che spiega il concetto in essa rappresentato.


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[1] Vedi per esempio Joseph Novak, L’apprendimento significativo, Erickson, Torino, 2001, pagg. 49/50: “Il significato che attribuiamo a un evento o a un oggetto dipende da quello che già sappiamo riguardo a quel tipo di evento o di oggetto. La scuola, il lavoro, la gioia e la paura sono semplici etichette per indicare delle costanti nell’esperienza, ma il loro significato può essere totalmente differente da persona a persona.”

[2] Vedi Ferdinand De Saussure, Corso di linguistica generale, introduzione, traduzione e note a cura di Tullio De Mauro, Laterza, Bari, 2005

[3] Vedi per esempio Joseph Novak, L’apprendimento significativo, Erickson, Torino, 2001, pag. 22: “Le mappe concettuali – strumento di rappresentazione della conoscenza sviluppato nel 1972 all’interno del nostro programma di ricerca…” e pag. 53 : ”Una ragione per cui riteniamo che le mappe concettuali siano uno strumento educativo e di valutazione molto efficace consiste nel fatto che esse possono rivelarsi estremamente utili agli insegnanti, ai dirigenti e agli alunni per arrivare a condividere gli stessi significati concettualmente per le parole e i simboli presentati.”

[4] Vedi David Ausubel, Educazione e processi cognitivi, Franco Angeli, Milano, 1978 pag. 664. Tutti i grassetti sono nostri.

[5] Vedi David Ausubel, Ibidem, pag. 658.

[6] Vedi per esempio Joseph Novak, L’apprendimento significativo, Erickson, Torino, 2001, pag. 55: “Poiché il significato dipende sempre dal contesto, i significati dell’etichetta concettuale presenteranno sempre alcuni elementi personali, dato che non esistono due esperienze umane caratterizzate da un’identica sequenza di eventi (contesto) in cui sia stata applicata a un concetto una certa etichetta.”

[7] Vedi ad esempio l’epigrafe di Ausubel al suo Educazione e processi cognitivi, op. citata: “Se dovessi condensare in un unico principio l’intera psicologia dell’educazione, direi che il singolo fattore, più importante, che influenza l’apprendimento, sono le conoscenze che lo studente già possiede” , così Novak: “Il punto più importante da ricordare, a proposito della condivisione dei significati in un contesto educativo, è che gli studenti portano sempre qualcosa di personale nella discussione; non sono una tabula rasa su cui la scuola deve scrivere né un vaso vuoto da riempire” Imparando ad imparare, op. cit., pag. 36

[8] Vedi note 4 e 5

[9] Vedi ad esempio, Edoardo Sanguineti, Ideologia e Linguaggio, Feltrinelli, Milano, 2001

[10] Vedi per esempio la definizione di concetto offerta da Novak:“Regolarità percepita in eventi o oggetti, o in testimonianze/simboli/rappresentazioni di eventi o di oggetti, definita attraverso una etichetta”, in L’apprendimento significativo, op. cit., pag. 34 e David Ausubel: “La realtà, parlando da un punto di vista figurativo, è sperimentata attraverso un filtro di categorie e concetti. […] In breve, a causa dell’influenza di concetti all’interno della propria struttura cognitiva, l’uomo sperimenta una rappresentazione conscia largamente semplificata, schematica, selettiva e generalizzata della realtà, piuttosto che una sua completa e fedele rappresentazione sensoriale” , op. cit., pagg. 648/9.

[11] Vedi per esempio, Alberto Peruzzi, Definizioni. La cartografia dei concetti, Franco Angeli, Milano, 1983, pag. 298:”Un nome proprio designa in modo diretto un individuo, è una sua etichetta, un’icona verbale, un’immagine epistemicamente nuda”.

[12] Ibidem, pag. 101

[13] Vedi Franco Farinelli, I segni del mondo, La Nuova Italia, Firenze, 1992

[14] "Un cronista di questi sviluppi" - quelli dell'indirizzo quantitativo - "proclamò trionfalmente che 'la sostituzione di approcci quantitativi ai problemi trattati prima in modi descrittivi verbali' rappresentò 'uno dei maggiori periodi di fermento intellettuale in tutta la storia della geografia'.Ora sembra alquanto inverosimile che quel giudizio resisterà alla prova del tempo. E' gia chiaro che la cosiddetta rivoluzione quantitativa cambiò soprattutto le tecniche di ricerca impiegate dai geografi economici e urbani […].Nella misura in cui ci fu una 'rivoluzione' negli anni Sessanta, essa fu una rivoluzione nelle tecniche e non nelle maggiori spinte della ricerca intellettuale in geografia economica ed urbana."L.J. King, Philosophy in Geography, a cura di S.Gale e G. Olsson, Dordrecht Holland, Reidel,1979, p.187. [La traduzione è nostra].

[15] Vedi Luca Toschi, La comunicazione generativa, Apogeo, Milano, 2011

[16] Per l’uso di linguaggi diversi nella tradizione geografica, vedi Gunnar Olsson, Uccelli nell'Uovo/Uova nell'Uccello, Roma-Napoli, Theoria, 1988, le frasi in corsivo sono tratte da Uccelli nell'Uovo, pp. 84/5.

[17] Ibidem, pag. 88

[18] Su questo aspetto può vedersi, Alfredo Ciotti e Gino Roncaglia, Il mondo digitale: introduzione ai nuovi media, Laterza, Roma-Bari, 2005

[19] Vedi per esempio, Silvano Tagliagambe, Epistemologia del cyberspazio, Demos, Cagliari, 1999

 

Bibliografia

David Ausubel, Educazione e processi cognitivi, Franco Angeli, Milano, 1978

Alfredo Ciotti e Gino Roncaglia, Il mondo digitale: introduzione ai nuovi media, Laterza, Roma-Bari, 2005

Ferdinand De Saussure, Corso di linguistica generale, introduzione, traduzione e note a cura di Tullio De Mauro, Laterza, Bari, 2005

Franco Farinelli, I segni del mondo, La Nuova Italia, Firenze, 1992

L.J. King, Philosophy in Geography, a cura di S.Gale e G. Olsson, Dordrecht Holland, Reidel,1979

Joseph Novak, L’apprendimento significativo, Erickson, Torino, 2001

Gunnar Olsson, Uccelli nell'Uovo/Uova nell'Uccello, Roma-Napoli, Theoria, 1988

Alberto Peruzzi, Definizioni. La cartografia dei concetti, Franco Angeli, Milano

Luca Toschi, La comunicazione generativa, Apogeo, Milano, 2011 

Edoardo Sanguineti, Ideologia e Linguaggio, Feltrinelli, Milano, 2001

Silvano Tagliagambe, Epistemologia del cyberspazio, Demos, Cagliari, 1999

 

 
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