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I database digitali e la carta geografica

La progettazione delle banche dati e il modello cui si richiamano

di Francesco Vettori
03 Luglio 2012

Scopo del presente lavoro è una valutazione del funzionamento delle banche di dati digitali a partire dall’analisi della loro ideazione e dei passaggi che la caratterizzano: l’ambizione è mettere in evidenza quegli elementi che condizionano il funzionamento dei database e che di solito sono passati sotto silenzio perché accettati e dati per scontati. L’auspicio è una riflessione sui database, che li migliori non tanto per capacità di memoria e recupero dell’informazione ma perché strumenti utili al pensiero umano.
L’ipotesi di partenza è banale: i database digitali si costruiscono a partire da tabelle; meno banale è aggiungere che le tabelle siano costruite dalla replica di un elemento, che chiameremo per comodità secondo l’uso corrente, cella.
E’importante notare che questa cella assume la forma di un rettangolo, una figura geometrica costituita da quattro lati ad angolo retto, e chiedersi perché l’elemento replicabile si moduli in forma di rettangolo e non, poniamo, di cerchio.
Quest’ultimo infatti, per la natura della linea curva, quando si moltiplica non consente un suo completo affiancamento, mentre la linea retta genera la perfetta intersezione dei rettangoli, l’accostamento di lato contro lato, in verticale e in orizzontale, producendo una loro mutua e totale comunicazione. Tale completa giustapposizione di rettangolo e rettangolo sul piano, originata dall’intersezione ad angolo retto, per cui non si distinguono più i lati di uno rispetto a quelli dei vicini, porta dal singolo rettangolo al loro insieme e crea la tabella.
La cui nascita si deve alla standardizzazione di un rapporto, con la proiezione sul piano, cioè la carta, di questa prima misura, cioè la disposizione in verticale e in orizzontale secondo linee ad angoli retti.
Dunque il principio costruttivo della cella è la linearità - stiamo parlando della tabella, di ciò che permane sempre e comunque a strutturare il database - e parimenti la comunicazione fra tutte le cella avviene secondo il criterio esclusivo della rettilinearità.
Verificheremo se, nel caso dei database, non sia semplicemente il foglio bianco la superficie piana, su cui si inscrive la tabella ma, considerate le sue proprietà, che questa richiami il modello della carta geografica.

Carta geografica e tabella hanno infatti alcune proprietà in comune che esplicitiamo per offrire un ripensamento degli attuali database alla luce di ciò che assume la carta geografica perché possa costituirsi e funzionare.
Con la cella, il riquadro replicato che dà forma alla tabella, si istituisce un rapporto e questo rapporto è dato dall’intersezione delle linee rette. Quel che intanto importa sottolineare, tenendo presente la tabella, è l’allineamento, l’operazione mentale che porta alla concretizzazione sul piano della linea retta.
L’allineamento risulta infatti decisivo per la tabella: l’intersezione di linee verticali e orizzontali origina il riquadro, nel database l’intersezione di colonne e righe, che formano la cella. Che sia il riquadro l’elemento costitutivo lo dimostra il fatto che nella prima riga del database non si dà ragione alcuna per cui le colonne sono legate l’una all’altra a formare in orizzontale, con i record, una riga unica. La ragione dell’unificazione sta infatti nel loro allineamento, sancito dall’inquadratura in tabella. Tale norma dispositiva richiama il rettangolo intemporale di Foucault la cui natura cartografica è stata riconosciuta[1].

Va qui ribadito che questo rettangolo intemporale, secondo Foucault[2] servito a modello di classificazione per le scienze naturali, si costituisce sullo spazio, vale a dire entro un sistema in cui vige l’equivalenza delle parti, la misura standard, la replicabilità, tutti termini che ben si addicono a ciò che chiamiamo informazione.
Abbiamo detto che l’intersezione di righe e colonne dà origine alla cella, che si riproduce allineandosi a formare la tabella; l’allineamento innanzi tutto consente di unire le celle in maniera tale che fra l’una e le altre non ci siano vuoti, stiamo ovviamente parlando del riquadro, non del suo contenuto. Ogni cella è legata a tutte le altre e tutte comunicano con tutte, poiché colonne e righe non si separano mai.
Lo spazio della tabella dunque è uno spazio continuo, come lo spazio della carta geografica.
Ma perché la tabella non ammette né salti di celle né loro sovrapposizioni?
Intanto perché ha una superficie piana, quindi bidimensionale, per cui la sovrapposizione, la verticalità viene esclusa in partenza, e questo dovrebbe far riflettere sul ruolo capitale che gioca nell’ideazione degli odierni database l’operazione della proiezione, atto implicato in ogni processo di progettazione[3].
Atto di nuovo eminentemente cartografico, di cui una conseguenza è lo schiacciamento della terza dimensione sul piano, la riduzione della tridimensionalità a bidimensionalità.
Di più, la continuità dello spazio della tabella mette in comunicazione tutto con tutto, ogni cella essendo idealmente e fisicamente collegata alle altre, ciò che consente alla macchina di compiere ricerche nel database. Anzi, visto che di database relazionali oggi si parla, le consente di eseguire ricerche condizionate, mettendo in relazione una cella con le altre e identificarne il contenuto.
Per quanto riguarda i criteri di ricerca, va però aggiunto che la posizione delle diverse celle rispetto all’intera tabella risulta del tutto indifferente, poiché è sufficiente che tutte siano collegate le une alle altre, quindi la loro equivalenza, e che venga escluso qualsiasi spazio vuoto. In quel vuoto infatti il calcolatore ancora non riesce ad entrare, poiché non ha le caratteristiche dello spazio ma di qualcosa d’altro, indeterminato e non classificabile in termini di informazione.
Se torniamo di nuovo alla tabella non è ammissibile che, poniamo, la prima riga con i rispettivi record sia composta da due colonne, la seconda e la terza da quattro e la quarta di nuovo da due. Nel caso avremmo una tabella incompleta, non più tale, almeno per come le tabelle dei database oggi sono ideate.
Lo spazio della tabella quindi non solo è continuo ma anche omogeneo, ancora come quello della carta geografica. Che cosa istituisce questa omogeneità nel database?
Presa la tabella nel suo insieme, abbiamo riconosciuto che il rettangolo si replica allineandosi continuamente. Osserviamo la disposizione che dà alla tabella una cella di forma rettangolare: quattro lati ad angolo retto non uguali, come è invece il caso del quadrato. Questo significa che una cella rettangolare origina due grandezze diverse, rappresentate dai due lati della tabella che, nel caso del quadrato, rimarrebbero uguali.
Il rettangolo, a differenza del quadrato, consente infatti di stabilire in tabella due direzioni diverse, mentre una tabella fatta di quadrati la posso capovolgere quanto voglio ma non determinare un suo orientamento, poiché i lati dei suoi costituenti sono tutti uguali. Essendo uguali altezza e lunghezza, avremmo una tabella in cui verticale e orizzontale non si differenziano, rendendo così impossibile la distinzione, così fondamentale per il database, fra colonne e righe.
E risultando anche impossibile stabilire una qualche direzione del movimento, cioè della ricerca, il problema non limitandosi a essere quello di unire cella con cella, replicandola, ma anche di determinare almeno due sensi del loro accostamento.
Per sottolineare che il secondo passaggio che costituisce la tabella - la tabella in quanto struttura geometrica del database - è stabilire un primo allineamento verticale e uno orizzontale e quindi distinguerli. Così se pensiamo al singolo riquadro non basta l’intersezione ad angolo retto di due coppie di linee di lunghezza differente. Ne emergerebbe infatti una serie di linee che si intersecano ad angolo retto, ma che non necessariamente si uniscono fra di loro per formare un rettangolo: perché si formi un rettangolo, occorre che la coppia delle due linee si produca partendo l’una dai vertici dell’altra e secondo un preciso principio, il principio della simmetria[4]. Per cui ad una posizione rispetto ad un lato corrisponde una e una sola posizione dal lato opposto. Equivalenza dei due lati possibile esclusivamente in uno spazio dello stesso genere.
Così si istituisce l’uguaglianza delle due coppie, si forma una figura geometrica e il rettangolo si chiude.
Nel caso del rettangolo va però ribadita la differenza fra altezza e lunghezza, poiché è questa che permette di distinguere due lati diversi e quindi di stabilire la simmetria. Prima di aver riconosciuto una qualche differenza geometrica fra i lati, come stabilire che ad una posizione da una parte ne corrisponde esattamente un’altra sull’altro lato? Con il quadrato non è possibile individuare nessuna differenza fra le due coppie di lati, poiché sono uguali, mentre nel caso del rettangolo si genera un principio di opposizione fra di loro.
Aggiungiamo che la determinazione della direzione e dell’orientamento è operazione distintiva anche per la mappa. Lo spazio della carta geografica è infatti isotropico, volto tutto nello stesso verso e secondo un unico centro.
Così la disposizione della tabella istituita grazie al rettangolo, che porta alla distinzione di colonne e righe e infine all’inserzione delle “etichette”, crea una struttura unidirezionale e un solo senso della sua lettura.
Lo spazio della tabella è quindi isotropico ancora come quello della mappa. A queste assoceremo un’ultima caratteristica, la replicabilità, che richiama un’altra delle proprietà fondamentali della linea retta, la sua infinitezza, il suo essere riproducibile all’infinito.
Per cui la linea retta, come lo spazio omogeneo e continuo e isotropico su cui si proietta, diviene immediatamente misura di se stessa: istituisce un criterio e un sistema del tutto coerente in se stesso che però, se accettiamo il teorema di Gödel, non per questo risulta reale né può giudicarsi dal suo interno.
Spostiamoci ora dall’analisi spaziale al livello dei contenuti della tabella e procediamo, di nuovo, al confronto con la carta geografica: innanzitutto sappiamo che ciascun record in tabella deve contenere nella prima colonna - la prima cella di ogni record - un identificativo univoco che permetta di distinguerlo da tutti gli altri, ciascuno componendosi di celle appartenenti ad un'unica riga. Il record è quindi una perfetta materializzazione dell’atomismo logico di Russell e Whitehead e della loro teoria dei nomi propri e delle descrizioni definite[5].
Se infatti l’identificativo di ciascun record della prima colonna corrisponde certamente ad un nome proprio, il contenuto di ciascuna cella che lo qualifica di attributi - con le altre colonne - è distinto da quello della cella vicina per la posizione che occupa. In ciascuna posizione della tabella c’è un unico contenuto, identificato dalla cella che, a propria volta, è determinata univocamente dalla sua posizione.
Quindi non solo le celle della prima colonna, con gli identificativi dell’intero record, contengono un nome proprio ma quelle di tutte le colonne funzionano come nomi propri, per cui il loro contenuto risulta sia assolutamente distinto dalle altre sia è inammissibile che abbia contemporaneamente attributi diversi. Possiamo pur avere contenuti diversissimi in celle differenti di uno stesso record, oppure lo stesso contenuto ripetuto quanto vogliamo, tuttavia ogni entità occupa nella tabella una sola posizione cui corrisponde un unico identificativo.
Ma che una cosa abbia una e una sola posizione, che questa sia distinta da tutte le altre e chiamata univocamente, è ancora la carta geografica ad assumerlo: sulla carta per esempio la posizione di Roma è una e unica e Roma non può chiamarsi anche Milano.
Aggiungiamo che tali caratteristiche dell’entità nel database e la struttura tabellare entro cui si inserisce condizionano i criteri della sua ricerca.
Questi infatti rispondono alla stessa teoria dei nomi propri e delle descrizioni definite elaborata da Russell e Whitehead con la disposizione materializzata dalla tabella che richiama un modello spaziale ben conosciuto, un modello di città, quella di Ippódamo di Mileto, progettata sulla carta e sviluppata secondo la logica della linea retta.
Essa di solito viene concettualmente opposta alla polis classica, all’Atene di Pericle, in cui vale il modello del cerchio e dell’uguale distanza di tutti i cittadini dal suo centro, l’agorà, a significare l’originario ideale isonomico, l’uguaglianza vigente nell’assemblea dei guerrieri di tradizione omerica[6].
La città di Ippodamo, che si sviluppa invece per linee rette e con più centri, è progettata in questo modo per promuovere e assicurare una più veloce trasmissione dell’informazione, sia perché essa si muove per linee rette e da più centri, sia perché la distanza fra i singoli cittadini, e non dal centro come lo era per la città di Pericle, rimane uguale.
L’istituzione di questa distanza lineare standard assicura la velocità e la certezza di trasmissione dell’informazione.
Avanziamo l’ipotesi che la disposizione spaziale dei contenuti del database ricalchi quella della città ippodamea. La tabella si sviluppa infatti per linee rette e standardizza il loro rapporto in modo che tutte le celle comunicano con tutte mentre il centro perde qualsiasi importanza e l’informazione va reperita e trasmessa nel più breve tempo possibile.
La tabella risulta essenziale anche quando si tratta di compiere ricerche nel database, poiché determina il criterio, dato dalla posizione che occupa, per cui qualcosa è diverso da tutto il resto.
Tanto che possiamo trovare in tabella entità uguali purché abbiano posizione diversa. Cosa del resto valida per il complessivo funzionamento del computer, per cui non è possibile memorizzare informazione che abbia lo stesso nome e la stessa posizione di altra informazione, a meno di sostituirla. Non ammettendo, come il database, che due entità, banalmente due file, abbiano lo stesso nome e la stessa posizione. A segnalare, tra l’altro, che essi funzionano alla stessa maniera, con degli identificativi univoci, nome e posizione.
Per i database viene allora da chiedersi come mai si è assunto che la posizione delle entità che contengono risulti un importantissimo principio di identificazione mentre questo stesso non incida sulle loro caratteristiche e tanto meno valga come criterio di ricerca.
A conferma che le proprietà riscontrabili nelle diverse posizioni appartengono a ciò che la tradizione geografica definisce spazio in opposizione al luogo. Entro il database che una entità occupi una cella piuttosto che un’altra non fa nessuna differenza, purché rispetti la formattazione stabilita dalle etichette. La posizione di una cella non ha delle caratteristiche che la distinguano dalle altre, tali da influire sulle proprietà del suo contenuto. L’entità non sta lì perché ne ha di specifiche determinate dalla sua posizione.
L’unica distinzione, al limite, è che la prima colonna e riga della tabella contengono identificativi ed etichette, tuttavia abbiamo già chiarito che funzionano come i nomi propri di Russell e Whitehead, il cui significato è cioè sempre lo stesso indipendentemente dal contesto in cui si trovano.
Perciò la prima incorniciatura in tabella segnala che in essa avremo a che fare con lo spazio, come sopra definito, e che l’operatività al suo interno risponde alla logica dell’allineamento e della rettificazione.
Avanziamo a questo punto qualche proposta che riguarda la progettazione dei database.
L’interrogativo che sorge è come mai ci si è concentrati così tanto sulla creazione e scelta di diversi linguaggi di programmazione, trascurando di considerare la disposizione spaziale delle entità che quei linguaggi generano. Come se l’aver istituito quale criterio di ordinamento la tabella non avesse alcuna conseguenza.
Solitamente ci si riferisce a fasi diverse nella progettazione di un database, corrispondenti alle diverse “viste”, per cui si passerebbe da una prima vista concettuale ad una logica quindi, attraverso la sua mappatura, alla vista esterna del database, con cui ha a che fare l’utente finale[7].
Quel che importa capire è se, nelle diverse fasi, la disposizione delle entità del database risulta sempre la stessa, essendo sempre la tabella, con le caratteristiche sopra ricordate, a condizionare il loro ordine.
Stando così le cose, sarebbe opportuno pensare a principi di ordinamento alternativi, per cui non valga soltanto l’identificazione e trasmissione di informazione nel più breve tempo possibile ma anche un percorso, un metodo, diverso per cui l’identità non sia il punto di partenza ma quello di arrivo, come fosse possibile passare da una logica dell’esclusione a quella della relazione, dal rettangolo e l’allineamento al globo e la sua irriducibilità, dallo spazio al luogo. Se il genuino bisogno di classificazione delle scienze naturali è stato finora soddisfatto partendo dalla disposizione spaziale che il rettangolo genera, occorre proporre altri principi di ordinamento anche in virtù delle caratteristiche del digitale.
E’un fatto ormai accertato che i database abbiano una importanza non sottovalutabile quando si analizza il funzionamento degli strumenti digitali e che uno dei maggiori problemi delle banche dati consiste nel reperimento e gestione dell’informazione/conoscenza. Quando si tratta di compiere delle ricerche, come anche nel caso della rete internet, la macchina procede infatti per identificazione di ciò che è presente, classificato e distinto dal resto, mettendo all’opera con tutta la sua forza il rettangolo intemporale di Foucault.
Se è vero che “le migliori teorie fanno previsioni concrete, che possono essere verificate”[8], non è difficile prevedere che una ricerca compiuta secondo i principi dell’atomismo logico, e entro un database strutturato sul rettangolo, porti a risultati dovuti a un criterio di identificazione fondato sulla ripetizione e normalizzazione.
E il fatto che il database sia messo in Rete non cambia affatto i termini della questione, anzi in questo caso la Rete si configura come un immenso spazio in cui le differenze vengono annullate.
Se un principio di identità, con cui stabilire che cosa è uguale a che cosa, risulta ineludibile poiché fondativo di qualsiasi linguaggio e quindi del processo di comunicazione, a questo sono però associabili altri principi logici.
Nel caso dei database il sistema può ripensarsi trasformando il rettangolo e la classificazione che crea. Una tabella quindi costruita non dalla giustapposizione di rettangoli ma di altro. Una struttura in cui non predomini il bisogno di mettere in relazione tutto con tutto, per cui la posizione occupata da qualcosa risulta in definitiva indifferente, prevalendo la trasmissione e il reperimento di informazione.
Una classificazione invece fondata sulla specificità di qualsiasi cosa, determinabile prima di tutto dalla posizione che occupa nel sistema e dai legami che quell’entità, grazie alla sua posizione, stabilisce.
Non è idea estranea alla tradizione matematica, se è vero che ciò che distingue il sistema di calcolo occidentale è proprio la notazione posizionale, per cui una cifra risulterà appartenere alle unità, decine, centinaia, etc., a seconda della posizione che occupa nella serie.
Il discorso riguarda non solo la classificazione ma i criteri di ricerca di ciò che viene classificato, come il calcolo stesso e non solo le cifre sono state profondamente modificate dalla notazione per posizione.
In sostanza si propone un diverso ordine, non il rettangolo, non la tabella, non l’equivalenza spaziale per i database ma altro, nella convinzione, apparentemente superata dalle ICT e dalla Rete, che intendere dove una cosa sia significa anche intendere che cosa questa stessa cosa sia.

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[1] Vedi Franco Farinelli, I segni del Mondo, La Nuova Italia, Firenze, 1992, pag. 57

[2] Vedi Michel Foucault, Le parole e le cose, Milano, Rizzoli, 1998

[3] Sul valore della progettazione nel contesto digitale, vedi Luca Toschi, La nuova frontiera di rete, in Derrick De

Kerckhove e Antonio, Tursi, Dopo la democrazia?, Apogeo, Milano, 2006

[4] Vedi, Hermann Weil, La simmetria, Feltrinelli, Milano, 1962 1

[5] Vedi Bertrand Russel e Alfred North Whitehead, Principia Mathematica, Oxford University Press, Oxford, 1973 (trad. it, I principi della matematica, Longanesi, Milano, 1988).

[6] Vedi Jean Pierre Vernant, Mito e società nell’antica Grecia, Einaudi, Torino, 1981

[7] Vedi per esempio, Stefano Del Furia e Paolo Meozzi, Teoria e pratica dei database. Progettazione e

linguaggio SQL, Mondadori Informatica, Milano, 2005

[8] Vedi Julian Barbour, La fine del Tempo, Einaudi, Torino, 2003

 

Bibliografia essenziale

Julian Barbour, La fine del Tempo, Einaudi, Torino, 2003

Stefano Del Furia e Paolo Meozzi, Teoria e pratica dei database. Progettazione e

linguaggio SQL, Mondadori Informatica, Milano, 2005

Franco Farinelli, I segni del Mondo, La Nuova Italia, Firenze, 1992

Michel Foucault, Le parole e le cose, Milano, Rizzoli, 1998

Bertrand Russel e Alfred North Whitehead, Principia Mathematica, Oxford University Press, Oxford, 1973 (trad. it, I principi della matematica, Longanesi, Milano, 1988)

Luca Toschi, La nuova frontiera di rete, in Derrick De Kerckhove e Antonio, Tursi, Dopo la democrazia?, Apogeo, Milano, 2006

Jean Pierre Vernant, Mito e società nell’antica Grecia, Einaudi, Torino, 1981

Hermann Weil, La simmetria, Feltrinelli, Milano, 1962 1

 
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