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ANALFABETISMO

Ballando con il ripetente

Dispersione scolastica e ripetenza: alcune soluzioni possibili

di Isabel de Maurissens
21 Febbraio 2014

Come affrontare la questione della ripetenza e di lì a poco della dispersione scolastica, definita nella Commissione Cultura il 22 Gennaio scorso, da Marco Rossi Doria, ex Sottosegretario del MIUR, il “problema più importante” della scuola italiana [1]?

È chiaro che non si può addossare tutta la responsabilità della dispersione solo alla scuola, trattandosi di un problema sociale di più vasta portata. Per rendersene conto basta dare un’occhiata alla recente ricerca dell’OCSE (2013) [2] sulla correlazione tra abbandono scolastico, bassa scolarizzazione e condizioni sociali sfavorevoli.
Questo articolo vuole essere una riflessione su un problema complesso, così complesso e di fondamentale importanza, che l’Europa della conoscenza lo ha messo tra i suoi obiettivi chiave [3] per il 2020. L’articolo intende quindi trattare il problema dal punto di vista culturale proponendo spunti di riflessioni perché, per affrontare la questione, è necessaria una visione di insieme. Solo così potremo scorgere e riconoscere gli “invisibili[4] (i drop out) e gli “specialisti della lontananza[5] (i ripetenti) in tutta la loro fragilità.

Esperti dell’assenza

Gli “specialisti della lontananza” sono seduti in classe, con gli occhi fissati alla lavagna ma il loro sguardo è superficiale, la loro mente è lontana. L’autore de L’elogio del ripetente [6], Eraldo Affinati, ideatore e professore presso la Scuola Penny Wirton definisce gli alunni in difficoltà anche “tecnici del distacco, esperti dell’assenza”.
Forzando il concetto, la Scuola Penny Wirton è scuola “open source”, intesa come gratuità dei professori (uno per ogni alunno), dello spazio, del materiale. Una scuola senza classi, registri e voti, aperta a ragazzi o giovani adulti provenienti dal mondo e approdati qui, spesso orfani, disorientati, senza mezzi culturali e in primis con scarsa conoscenza della lingua italiana per poter comunicare, imparare, lavorare nel nostro Paese.
Molti degli Stati membri hanno recentemente legiferato in materia ma le scelte sono diverse senza una strada maestra che indichi come affrontare il problema; una tendenza comunque è certa, come sottolineato [7] nell’ultima conferenza tenutasi [8] in Lituania lo scorso Novembre, in seno alla rete European Network of EducationCouncils (EUNEC)“Early School Leaving”, le comunità scolastiche locali devono avere un peso maggiore in fatto di politica contro la dispersione scolastica.
Circa le diverse scelte degli Stati membri per contrastare il fenomeno, sostanzialmente, ci sono due linee di tendenza: quella di intervenire dal basso (bottom up) o dall’alto (top down). Mentre la scelta del governo italiano con il recentissimo decreto (D. M. 7 febbraio 2014) (vedi infra) è stata quella di valorizzare al massimo l’autonomia scolastica, la Francia affronta la questione a livello di sistema con la recente creazione di un Consiglio Nazionale dell’Innovazione per il successo Scolastico [9] (marzo 2013) [10].
Tutti concordano che per contrastare la “tenacia della dispersione”, così chiamata da Marco Rossi Doria è necessario il rafforzamento di policies nazionali “del tener dentro”. Marco Rossi Doria è esperto in materia non solo per la sua recente esperienza di governo ma anche per la sua storia di vita: è stato nominato “primo maestro di strada d’Italia” ed ha fondato l’“Onlus Maestri di strada “ ed è stato co-fondatore del progetto “Chance”.

Il nuovo decreto e il bando “tener dentro” destinato alle scuole

In Italia, il decreto (D.M. 7 febbraio 2014) che definisce una politica del “tener dentro”, prevede 15 milioni di euro contro la dispersione scolastica, in base alle percentuali “di maggior rischio di evasione” destinate alle scuole di ogni ordine e grado ed è “finalizzato alla riduzione del numero di abbandoni non formalizzati nel corso dell’anno scolastico e nel passaggio da un anno scolastico all’altro nonché alla riduzione del numero di ripetenze e debiti formativi nella scuola secondaria di secondo grado (soprattutto nelle discipline fondamentali quali italiano, matematica, inglese) del numero di giorni di assenza, del numero di sanzioni disciplinari. Oltre l’aumento del livello delle competenze in matematica e lettura” (materie dove siamo più carenti secondo le ultime prove OCSE-PISA).

Il decreto prevede un bando (scadenza 28 febbraio 2014) attraverso il quale le scuole potranno presentare i loro progetti agli Uffici Scolastici Regionali per mettere in atto "in via sperimentale, un programma di didattica integrativa e innovativa anche attraverso il prolungamento dell’orario scolastico nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado (art. 1)".

Per le seguenti finalità (art. 2):

a) Prevenzione del disagio causa di abbandoni scolastici

b) Rafforzamento delle competenze di base

c) Integrazione degli alunni di cittadinanza non italiana

Le iniziative si raccorderanno con analoghe iniziative realizzate dagli enti locali e altri soggetti sia pubblici che privati e del privato sociale, del non profit ed altri. (art. 1)
Nei criteri previsti dal bando nell’allegato C sono previsti sostanzialmente 4 criteri quali: efficacia e efficienza del progetto (35 punti); l’innovazione (35 punti); la partnership (20 punti) e la trasferibilità (10 punti).
L’assegnazione delle risorse per ciascun progetto saranno per il 70% destinati a piccoli gruppi di studenti (da sette a dieci studenti) finalizzate al recupero della strumentalità di base e il restante 30% per tutti gli alunni della scuola ma finalizzate ad attività laboratoriale fuori dell’orario scolastico (art. 3).

Anche se la dispersione in Italia è in leggero calo (il 17, 6% rispetto al 18,8% del 2010; per maggiori dettagli sui dati statistici vedi il focus del MIUR, 2013) il livello di attenzione deve essere molto alto e il decreto appena emanato vuole essere una soluzione concreta al problema. Favorire quindi una didattica integrativa con associazioni sul territorio e una apertura straordinaria degli istituti scolastici nelle ore pomeridiane.
In l’Italia, Marco Rossi Doria ha sottolineato che è ancora necessario il superamento di problemi “tecnici” di rilevazione e misurazione del fenomeno, ricordando che ci sono ancora molte disparità di rilevazione e misurazione sul territorio e che non siamo allineati con altri paesi europei; ciò anche per la relazione tra rilevazione dei dati e interpretazione della legge sulla privacy (in Italia, per la privacy, ad esempio non può essere rilevato il dato sul tipo di lavoro o il grado di istruzione del genitore).
A livello locale va sviluppato il legame tra il mondo della scuola e quello del lavoro favorendo anche la formazione professionale e altre forme di raccordo tra questi due mondi come IFTS [11] e Alternanza Scuola-Lavoro perché è ormai pacifica la correlazione a valle tra abbandono scolastico e presenza o meno di politiche che favoriscono il binomio scuola-lavoro. È questa la strada che devono intraprendere le Regioni del Sud e le città metropolitane dove si concentrano i tassi maggiori di dispersione.

Si veda il video di Marco Rossi Doria

Mobility

Per raggiungere il tasso molto ambito del 10% quale tetto massimo di dispersione per il 2020 le politiche sociali europee incoraggiano la mobilità degli alunni per evitare che gli “esperti dell’assenza” rimangano a lungo sullo stesso banco. Riservare la mobilità solo agli alunni sopra alla media deriva spesso da vincoli che si pone la singola scuola. Questi vincoli possono essere considerati prettamente di natura culturale e sociale. Il “non ho la media” (forse è il momento che le scuole abbassino l’asticella?) non deve quindi essere freno alla mobilità in Europa. Il nuovo settennale Programma Erasmus + (ex LLP) rappresenta una grande occasione per le scuole e per gli studenti prima che diventino Early School Leavers [12].
La mobilità è una grande risorsa: lo dimostra la tendenza di alcune università americane come la Minerva University di San Francisco [13] che ha recentemente rivisitato il suo curricolo. Dal secondo anno gli studenti, invece che stare sui banchi, viaggiano in sei città di sei diversi paesi: Istanbul, Rio de Janeiro, Londra, Berlino, Mumbai, Hong Kong e Shangai. Questa opportunità in verità la offre anche il nuovo Programma Erasmus+ consentendo agli studenti italiani ed europei di valicare i confini dell’Europa, cosa prima non possibile con il precedente programma LLP.

La neurodiversity e la capability

Sempre con un sguardo molto alto altri concetti come la neurodiversity e la capability ci invitano a vedere“l’esperto del distacco” sotto una nuova luce. La neurodiversity [14] è una teoria sviluppata da Thomas Armstrong secondo la quale al pari della biodiversità e della diversità culturale esistono nell’essere umano un’infinità di funzionamenti, diversi e alternativi tra loro.
Ciò non significa avere lacune rispetto alla cosiddetta “normalità” (intesa come creazione e modello insuperabile). Ovviamente questo concetto si è sviluppato particolarmente nel campo della disabilità, del DSA, dell’autismo e dei relativi BES (Bisogni Educativi Speciali) – se ne è discusso al convegno “Vorrei star bene a scuola" [15] svoltosi a Firenze lo scorso Gennaio –, ma è un concetto estensibile anche a chi ha temporanee difficoltà e lacune a scuola.

Secondo Armstrong la neurodiversity si basa su otto principi [16]:

  1. Il cervello funziona come un ecosistema e non come una macchina (fino ad ora per riferirsi al cervello veniva frequentemente fatto ricorso a termini come “computer” od altro tipo di macchina.) Tuttavia, il cervello umano non è hardware o software, è wetware [17];
  2. Il cervello funziona lungo un continuum di competenze (continuum relativi all’alfabetizzazione, alla socievolezza, all’attenzione, all’apprendimento e ad altre abilità cognitive; quindi tutti noi siamo collegati gli uni agli altri, piuttosto che suddivisi in “normali” e “con disabilità”);
  3. La competenza delle persone è definita dai valori della cultura a cui si appartiene;
  4. Lo sguardo che ti definisce “diverso” dipende, in larga misura,da dove una persona è nata;
  5. Il successo nella vita dipende anche da fattori quali, ad esempio, l’adattabilità all’ambiente circostante;
  6. Il successo nella vita dipende anche dalla capacità del nostro cervello di modificare l’ambiente per soddisfare le nostre richieste;
  7. La strategia per stare bene prevede la capacità di farsi aiutare con tecnologie assistive, risorse umane e altre tecniche a sostegno della propria neurodiversità (qui il punto può esser declinato per i disabili ma può essere inteso come coaching, tutoraggio, adozione di specifiche strategie di apprendimento, ecc.);
  8. Un atteggiamento positivo modifica il cervello che, a sua volta, modifica la nostra capacità di adattamento all’ambiente.

Secondo Armstrong il concetto di neurodiversità implica un nuovo paradigma sociale, ad esempio le aziende di programmazione informatica hanno colto questa teoria assumendo soggetti con sindrome di Asperger, riconoscendo in loro persone particolarmente dotate in questo ambito professionale.

Un altro concetto che può aiutarci a focalizzare meglio il giusto atteggiamento culturale per comprendere l’alunno in difficoltà è quello relativo alla capability [18] di Amartya Sen.
Armatya Sen, economista, premio Nobel nel 1998 per aver introdotto il tema dell’etica nel mondo dell’economia ha introdotto anche il concetto di capability. Questo concetto tiene conto non solo di quello che gli individui posseggono materialmente ma anche della loro capacità e della loro libertà di utilizzare i beni per scegliere il loro modo di vivere. In realtà Sen ha sviluppato due concetti molto legati, il modo di funzionamento (functioning) e la capabilità (capability). Il primo riguarda ciò che un individuo può realizzare considerando i beni materiali che possiede (nutrirsi a sufficienza, scrivere, leggere, spostarsi, ecc.); descrive quindi il suo stato. Il secondo riguarda le diverse combinazioni possibili relative ai primi. Quindi in sostanza è un vettore di funzionamento che esprime la libertà per un individuo di scegliere tra diverse condizioni di vita.
L’estensione del concetto di capability dalla disabilità alle difficoltà scolastiche può essere utile se consideriamo l’uso degli strumenti sociali e culturali di cui tutti disponiamo. Il ruolo del docente potrebbe essere quello di sostenere e sviluppare e riattivare insieme all’alunno in difficoltà le connessioni possibili.

Fare emergere un sapere “profondo”

L’agire e l’expertise del docente quindi rimane fondamentale.
Hattie, Direttore del “Melbourne Education Research Institute” presso l’Università di Melbourne in Australia, che ha condotto uno studio evidence based [19], frutto di una meta-analisi di più di 500.000 ricerche, evidenzia come sia sempre l’eccellenza dell’insegnamento a fare la differenza.
Egli distingue il docente esperto dal docente con esperienza e il neo-assunto. Hattie ha studiato da vicino gli insegnanti esperti per capire le loro strategie.

Prima di analizzare nei dettagli le cinque dimensioni individuate da Hattie, è bene ricordare che non solo il mondo della ricerca educativa sostiene la centralità del docente ma anche altri campi del sapere come la filosofia. Fernando Savater nel suo ultimo libro [20] vede il docente come orientatore una bussola nel ginepraio di informazioni di cui siamo prigionieri, un ginepraio in cui è difficile distinguere la verità dalla menzogna e la serietà della frivolezza”.

Le dimensioni che Hattie ha individuato sono le seguenti. Il docente:

  1. è in grado di identificare le rappresentazioni essenziali della materia;
  2. può guidare l’apprendimento attraverso l’interazione in aula;
  3. è in grado di monitorare l’apprendimento e fornire un feedback;
  4. è in grado di curare la relazione con lo studente;
  5. può influenzare positivamente i risultati ottenuti degli studenti.

Hattie sviluppa ulteriormente queste cinque dimensioni per estrarne sedici interessanti criteri che distinguono un docente esperto da un docente con esperienza o un docente neo-assunto. Egli sottolinea che non devono essere intesi come una check-list ma come le sedici sfaccettature di un gioiello:

Punto 1 (conoscenza approfondita della materia da parte del docente)

1.1. Ha una profonda conoscenza e rappresentazione della sua materia che gli permette di riconoscere rapidamente le sequenze di eventi che si verificano in aula ed ha modo di influenzare l’andamento della lezione e quindi influenzare l’apprendimento. Ha la capacità di concentrarsi maggiormente su informazioni che hanno carattere didattico, può maggiormente prefigurare l’insorgere di eventuali problemi in aula, è in grado di prevedere e determinare quali tipi di errori gli studenti potrebbero fare e ciò gli dà la capacità di essere più sensibile nei confronti degli studenti.
Generalmente dedica più tempo a costruire queste rappresentazioni, ha più visione del “come” e del “perché” si verifica il successo degli studenti, è in grado di organizzare i loro problem solving e di testare le loro ipotesi o strategie. È molto legato al suo contesto e vive in maniera totalizzante l’aula e i suoi studenti.

1.2. Di norma adotta una modalità di problem solving per il suo lavoro. Cerca e approfondisce le informazioni che gli necessitano, a differenza del docente meno esperto che si concentra di più su dati facilmente disponibili, sotto mano; l’esperto è più concentrato sulle prestazioni dei singoli studenti in classe mentre il debuttante in genere si concentra su tutta la classe. Un concetto chiave è la flessibilità: i docenti esperti sono più flessibili. Trovano più facilmente nuove informazioni, nuove interpretazioni e rappresentazioni del problema posto in aula.

1.3. L’esperto è in grado di anticipare, pianificare e improvvisare a seconda della situazione in aula.

Trascorre maggiore tempo a cercare di capire il problema piuttosto che trovare immediatamente la sua soluzione. Procede per tentativi, controllandone la precisione e l’aggiornamento, o elaborando delle rappresentazioni problematiche come nuovi vincoli emergenti; utilizza cioè maggiormente le informazioni di ritorno.

1.4. Il docente esperto è un decisore e riesce a distinguere con facilità le decisioni importanti da quelle meno importanti. Il meno esperto trascura aspetti come il “senso del tempo” o il congruo numero di esempi e problemi da porre agli studenti. E’ in grado di “anticipare” determinati momenti in base ai bisogni contingenti dei loro alunni e considera domande e commenti degli studenti al pari di trampolini per avviare e portare avanti discussioni. Ha raggiunto un equilibrio tra l’attenzione sul contenuto e l’attenzione sulla relazione.

Punto 2 (interazione in aula):

2.1 È in grado di creare un clima ideale con la classe, anche per aumentare la possibilità di stimolare risposte e tollerare errori degli studenti. Nel corso di una verifica, l’errore viene accolto in un clima positivo.

2.2. Il docente esperto ha una percezione multidimensionale delle situazioni d’aula. È più concentrato su quello che sta dicendo e facendo rispetto al comportamento degli studenti.

2.3. Il docente esperto “dipende” dal contesto ed ha la capacità di immaginarne gli scenari, il setting.

Punto 3 (monitoraggio dell’apprendimento e feedback):

3.1. L’esperto è maggiormente in grado di monitorare i problemi degli alunni e il loro livello di comprensione . L’esperto riesce a prevenire e anticipare le difficoltà degli studenti mentre il docente meno esperto tende a correggere le difficoltà già presenti. Èin grado di capire quando gli studenti perdono interesse o quando non capiscono. Sa distinguere tra informazioni pertinenti e informazioni irrilevanti, comprende gli eventi nei dettagli ed ha un quadro chiaro delle situazioni che gli si presentano.

3.2. Rispetto al docente meno esperto, l’esperto è abile a sviluppare e testare ipotesi su apprendimento, difficoltà e strategie didattiche, si sforza con meticolosità utilizzando i feedback per testare il livello di apprendimento dei suoi studenti.

3.3. Il docente esperto sembra fare meno fatica ad insegnare perché le sue capacità cognitive sono consolidate e ciò gli permette di concentrarsi maggiormente sulle azioni didattiche.

Punto 4 (relazione con lo studente):

4.1. L’esperto, rispetto al collega meno esperto, ha maggior rispetto dei suoi alunni ed è in grado di recepire i loro bisogni, senza mai tentare di dominare la situazione o di imporsi una certa distanza fisica e psicologica tra lui e lo studente.

4.2. L’esperto è un appassionato dell’apprendimento e insegnamento con un certo senso di responsabilità, nel suo lavoro è maggiormente sensibile a fallimenti o successi.

Punto 5 (influenza positiva sui risultati degli studenti):

L’esperto coinvolge maggiormente gli alunni nei processi di apprendimento, favorendo in loro lo sviluppo di una sorta di autoregolamentazione in modalità masterylearning; stimola negli studenti il senso di autostima e di autoefficacia; motiva i suoi studenti a progredire piuttosto che ottenere una performance; assegna compiti “su misura” che possano consentire sia un apprendimento superficiale che profondo. Per “apprendimento superficiale” Hattie intende i contenuti (in sostanza, per ottenere un voto sufficiente) e per “apprendimento profondo” intende la comprensione (per capire il vero significato dell’argomento).Il docente esperto è più incline a invitare lo studente a cimentarsi e a vincere sfide piuttosto che limitarsi a suggerir gli di “fare del suo meglio”; stimola gli studenti a ragionare piuttosto che ripetere. A differenza di un insegnante meno esperto che passa l’80% del tempo svolgendo una lezione frontale, l’esperto impiega maggior tempo in attività mentalmente impegnative e che “dilatano” il tempo stesso. L’esperto ha un’influenza positiva sui risultati degli studenti ma considera il compito non solo in senso stretto ma tiene anche conto di criteri come l’autoefficacia, l’autoregolazione, il desiderio di essere messo alla prova. Pur considerando validi gli indicatori di valutazione deitest “tradizionali”, l’esperto tiene maggiormente conto di una valutazione che si basi su termini globali (sia su risultati superficiali che profondi); viceversa, il docente meno esperto tende a valutare soprattutto un apprendimento di tipo superficiale.
L'elenco seguente fa capire come l’insegnante in realtà ha in mano circa il 30% di azioni possibili; ciò dimostra che la sua figura, il suo stile, la sua performance sono elementi determinanti.


Figura 1
, Hattie, J.“Teachers make the difference. What is the research evidence?

Puntare sulla formazione in servizio degli insegnanti per sviluppare quegli atteggiamenti vincenti e strategici anche attraverso le molte possibilità del nuovo programma Erasmus+ risulta quindi determinante per poter affrontare al meglio la difficile relazione con gli studenti, prima che diventino “invisibili”.

Erasmus +, il piano strategico di mobilità

Con il nuovo programma Erasmus +, l’Europa ha fatto una scelta strategica rispetto al precedente Programma LLP, in quanto la mobilità dei docenti secondo l’azione chiave 1, Mobilità individuale ai fini dell’apprendimento, deve essere predisposta dal Dirigente scolastico (e quindi il singolo insegnante non può più fare la domanda in qualità di singolo docente come era il caso con il precedente programma LLP). Sarà pur vero che il docente è la figura centrale ma la sua centralità deve essere interpretata come parte di una strategia-scuola. Questa scelta nasce probabilmente dalla constatazione che molte esperienze fatte all’estero da parte di singoli docenti non hanno avuto una effettiva ricaduta sulla scuola di appartenenza sia in termine di trasferimento dell’esperienza acquisita sia in termini di documentazione della stessa. Compito della scuola, è quindi quello di elaborare un piano strategico dove sia prevista anche la mobilità non solo per gli insegnanti di lingua ma anche per docenti che desiderano migliorare le proprie strategie, confrontando le loro esperienze con altri colleghi europei, affrontando le problematiche degli alunni in difficoltà. Il programma prevede con l’azione chiave 2 la cooperazione per l’innovazione e lo scambio di buone pratiche.
Per non sentirsi in un “Fort Apache”
(Affinati, 2014) è utile quindi elaborare un piano strategico e flessibile di intervento, insieme alle associazioni sul territorio, sviluppando una “cittadinanza attiva della scuola” (in linea con l’art. 2 della Costituzione laddove si parla di doveri sociali inderogabili) per ovviare al problema che Rossi Doria ha definito il più importante della scuola italiana.
Tutto ciò premesso, affinché il docente esca da “Fort Apache” per ridiventare “lo specialista dell’avventura interiore, l’artigiano del tempo" [21]degli studenti in difficoltà.
E’ necessaria una svolta culturale: in ogni caso il docente dovrà continuare ad opporre resistenza al ragazzo e continuare a ballare con il ripetente “perché gli esseri umani crescono come l’edera e hanno bisogno di appoggiarsi a qualcosa di solido, che oppone resistenza " [22].

 L'articolo è scaricabile in formato pdf.

Isabel de Maurissens è ricercatrice presso l’INDIRE (ex ANSAS) dove da più di 10 anni si occupa di nuovi linguaggi per la scuola. Redattrice e autrice, i suoi ambiti di ricerca riguardano: testi digitali, narrazione e digital storytelling, documentazione e comunicazione multi-crossmediale, sistemi di knowledge management per la scuola e la ricerca, in particolare repository per la didattica, rappresentazione e trasferimento delle conoscenze, social networking e blogging per docenti e studenti.


Note

[1]
Rossi Doria, M. Intervento presso la Commissione Cultura, Camera dei Deputati, 22 Gennaio 2014

[2] OECD, OECD Skills Outlook 2013: First Results from the Survey of Adult Skills, OECD Publishing, 2013

[3] http://ec.europa.eu/europe2020/europe-2020-in-a-nutshell/priorities/smart-growth/index_it.htm

[4] Il termine è di Buzzi, Cavalli e De Lillo (1997) e Miscioscia (1999) e comprende, secondo Morrow, Lecompte, Dworkin, Janosz, Blank, Bouleric e Trembley:

  • i cacciati: gli allievi indesiderati che la scuola cerca attivamente di allontanare da sé;
  • i disaffiliati: studenti che non provano attaccamento per la scuola e per le persone che fanno parte del contesto e desiderano solo allontanarsene;
  • i drop-out capaci : studenti che hanno la capacità di seguire il programma, ma non sono allineati alla richieste della scuola;
  • i stop-out: studenti che lasciano la scuola per un certo periodo;
  • i drop-out: con bassa prestazione, soggetti con un basso coinvolgimento e con bassi risultati scolastici;
  • i turned-out: gli studenti che continuano a frequentare la scuola, ma senza essere sintonizzati con essa;

[5] Gli specialisti della lontananza sono definiti così da Eraldo Affinati, Elogio del ripetente, Mondadori, Milano, 2013.

[6] Vedi nota n. 1.

[7] EUN/DOC/008 C, Statements on the European Commission Communication, “Rethinking education: Investing in skills for socio-economic outcomes”.

[8] Ibidem vedi supra.

[9] Décret n° 2013-246 du 25 Mars 2013, "Portant création du Conseil National de I’innovation pour la Réussite Educative", 26 Mars 2013.

[10] Il Consiglio è formato da 11 membri di diritto che sono costituiti, oltre che da quadri del mondo educativo, da molti esponenti della società civile, con esponenti provenienti anche da alcuni ministeri quali quelli della giustizia e dell’agricoltura, da dirigenti dell’ufficio della valutazione e perfomance scolastiche (il corrispondente dell’ INVALSI), ricercatori del mondo accademico, rappresentanti di comunità locali. Il Consiglio, inoltre, è composto da 28 membri tra i quali: esperti in materia di innovazione, rappresentanti dei genitori, insegnanti di primo e secondo grado, dirigenti scolastici e infine da un esponente del mondo economico.
I componenti del Consiglio sono a mio avviso un buon esempio di come il fenomeno sia complesso e di come vada affrontato nella sua globalità.

[11] Istruzione e Formazione Tecnica Superiore.

[12] Il tasso di abbandono scolastico viene misurato a valle in tutta Europa. Cioè gli “EarlyLeavers School” (ELS) sono i ragazzi di 25 anni che non hanno un attestato di scuola superiore o un attestato di formazione professionale almeno triennale.

[13] Formica, P., Conoscenza senza frontiere, in “Nova”, supplemento de “Il Sole 24 ore”, 31 gennaio 2014.

[14] Il termine fu coniato nel 1998 dal giornalista Harvey Blume e dall’avvocato Judy Singer.

[15] Il convegno “Vorrei star bene a scuola è stato organizzato dall’Associazione Italiana Dislessia (AID) e dall’Associazione Culturale Libriliberi a Firenze, 17-18 gennaio 2014.

[16] Armstrong, T., The Power of Neurodiversity: Unleashing the Advantages of Your Differently Wired Brain, Da Capo Lifelong Books, 2011.

[17]Wetware” è un termine tratto dall’idea informatica di hardware o software ma applicata a forme di vita biologiche. Qui il prefisso “bagnato” è un riferimento all’acqua che si trova nelle creature viventi. La parola wetware è usata per descrivere gli elementi equivalenti di hardware e software trovati in una persona, cioè il Sistema Nervoso Centrale (SNC) e la mente umana.
Il termine trova impiego sia in opere di fiction che in pubblicazioni scientifiche.

[18] Sen, Amartya, Development as Capability Expansion, in Journal of Development Planning 19, pag. 41–58, 1989

[19] Hattie, J. Teachers make the difference. What is the research evidence?”, Paper presented at the Australian Council for Educational Association Research Conference, Melbourne, Victoria, 2003

[20] Savater, F. , Piccola bussola etica per il mondo che viene, Roma-Bari, Laterza, 2014

[21] Affinati, E. vedi nota 1

[22] Savater, F. vedi nota 20

 
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