Indire, sito ufficiale
Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa MIUR
immagine di contorno      Formazione separatore dei progetti      Documentazione separatore barra alta      Didattica separatore barra alta      Comunicazione separatore barra alta Europa
contorno tabella centrale
{TITOLO_TOPIC_DIRETTO}

Tutorato e tutor nella riforma, di Giuseppe Bertagna

Estratti dell'inserto pubblicato in "Scuola e Didattica" il 15 aprile 2004.

di Francesco Vettori
0 {MESE}

Giuseppe Bertagna, già titolare della cattedra di Pedagogia generale e Didattica generale alle Università di Bologna e di Torino, ora insegna Filosofia dell’educazione all’ Università di Bergamo; tra i numerosi incarichi per il Ministero della Pubblica Istruzione prima e per il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, ora, si è occupato di riforma degli ordinamenti e dei piani di studio della secondaria, di valutazione interna ed esterna alla scuola e della formazione iniziale degli insegnanti. 

Sulla figura e funzione del tutor ha scritto per "Scuola e Didattica" del 15 aprile 2004: "La funzione tutorale compete a tutti i docenti. È, appunto, una funzione di sistema. È inimmaginabile un sistema educativo di istruzione e di formazione che non la eserciti. [...]" da Tutorato e tutor nella Riforma

Riportiamo di seguito una selezione di brani dall'ampio articolo.

 

"Tutor: stessa parola, diverse pratiche, opposte reazioni

[...] Il docente tutor della riforma Moratti [...] è un docente che, in quanto insegnante, non è né più né meno degli altri colleghi. Ha un’abilitazione all’insegnamento come gli altri e partecipa, come gli altri, da comprimario, al lavoro dell’équipe che organizza l’insegnamento da destinare ad uno o più gruppi classe di ogni istituto.
Egli, tuttavia, dopo aver acquisito una specifica formazione postlaurea specialistica per l’insegnamento, quando sarà a regime l’articolo 5 della legge n. 53/2003, oppure dopo aver dimostrato di possedere una specifica formazione maturata con esperienze in servizio, durante l’attuale fase transitoria, a differenza dei colleghi, non è assegnato soltanto allo staff di istituto, con organizzazione e utilizzazione verso gli allievi decisa poi in maniera del tutto autonoma dalle istituzioni scolastiche, ma è assegnato anche e obbligatoriamente ai singoli studenti che costituiscono un gruppo classe, per seguirli, unico tra i colleghi, dall’inizio alla conclusione di ogni grado scolastico (tre anni nell’infanzia, cinque anni nella primaria, tre anni nella scuola secondaria di I grado, cinque anni nel sistema dei licei, da tre a sette anni nel sistema dell’istruzione e formazione professionale), allo scopo di essere, in nome e per conto dello Stato, una specie di ombudsman del loro personale diritto sociale e civile:

  
1. costituire una comunità di apprendimento, prima di tutto, come gruppo classe e, poi, insieme ai compagni degli altri gruppi classe, come gruppo allargato di allievi che partecipano alla dinamica organizzativa, relazionale ed identitaria di istituto;

2. incontrare uno staff docente che predisponga ed attui in maniera coordinata, per il miglior
apprendimento possibile di ciascuno, Piani di Studio Personalizzati (per questo il docente tutor svolge anche la funzione di docente coordinatore dell’équipe pedagogica che, a mano a mano, incontra gli studenti del gruppo classe che gli è affidato);

3. veder narrativamente e unitariamente documentata dallo staff docente, nel Portfolio delle competenze personali di ogni studente, la maturazione del proprio progressivo progetto di vita (orientamento) e delle qualità dei propri apprendimenti (valutazione);

4. partecipare in maniera attiva e protagonistica, insieme alle famiglie, alla compilazione di questo Portfolio.

Per svolgere i compiti che gli sono assegnati, il docente tutor della riforma Moratti ha a disposizione un certo numero di ore settimanali, oltre l’orario di insegnamento. Attualmente, in base al decreto legislativo di attuazione del primo ciclo degli studi, sono 4, tutte comprese nell’orario di servizio, per il docente tutor della scuola primaria (18 ore settimanali di insegnamento, 2 ore di programmazione con i colleghi dell’équipe, 4 ore per il tutorato). Data anche la maggiore complessità organizzativa delle scuole secondarie, sono, invece, 6 aggiuntive all’orario di insegnamento, anche come compenso, nella scuola secondaria di I grado e nel secondo ciclo, oppure in parte comprese nelle 18 di insegnamento quando non si riuscisse a costituire una cattedra a 18 ore piene di servizio.

Va, infine, segnalato che, accanto a questa figura ordinaria di docente tutor, la riforma Moratti, prevede, per il secondo ciclo del sistema di istruzione e di formazione, a partire dai 15 anni, anche l’istituzione di due altre possibili figure di tutor, destinate specificamente all’alternanza scuola lavoro: il tutor formativo interno all’istituzione di istruzione o di istruzione e formazione professionale e il tutor formativo esterno ad essa, designato dai soggetti che ospitano gli studenti per i percorsi di alternanza scuola lavoro.[...]


Tutorato di sistema e figura del tutor nella riforma

[...]
Le figure tutorali formali hanno semmai il compito di rendere esplicito ciò che non lo è e di richiamare criticamente le persone fisiche e giuridiche al loro dovere o naturale o socio-istituzionale di agire, prima di tutto, in nome e per conto della «crescita e valorizzazione della persona umana» [...].  Ovvio che questo sia un ideale regolativo [...]. Esso semmai va impiegato per ciò che può dare: l’autenticazione degli sforzi educativi personali e istituzionali, il termine di paragone per le domande sulla coincidenza tra essere e dover essere [...].

In questa prospettiva, il docente tutor prefigurato dalla riforma Moratti è certo un docente come gli altri, ma che è posto nelle condizioni, prima, di formazione e, poi, di organizzazione (anche in termini di orario) tali da assicurare, con adeguata documentazione narrativa, agli allievi che gli sono affidati, ai colleghi che hanno rapporti di insegnamento con questi allievi, alle famiglie sempre di questi allievi, alle istituzioni sociali in quanto tali che la funzione tutorale diffusa e latente da essi interpretata nel sistema educativo di istruzione e di formazione si sta davvero concretizzando in modo determinato e consapevole, non astratto e generale, per e in ogni singolo studente che compone il gruppo classe affidato all’insegnamento suo e dell’équipe docente con cui lavora [...].


Tutorato e tutor tra cura e autorità educativa

[...]
È la parola che permette all’esperienza dell’una persona di diventare occasione perché anche l’altra se ne appropri a modo suo, e la comprenda; è la parola dell’una, che, quando è ascoltata, dentro, nell’intimo,dall’altra (obbedita: da ob audire, sentita in sé, accolta, come qualcosa che viene da fuori di sé) la interpella e la determina, a sua volta, all’iniziativa di una risposta.
[...] Non è il docente che insegna: è l’allievo che impara, ricordava già Agostino aprendo il suo De magistro.
[...] Per essere la parola dell’autorità, infatti,essa deve risultare, essenzialmente, la testimonianza concreta della libertà,della scelta e dell’azione originaria, creativa, propria, di chi la pronuncia.
[...] Non è un caso, d’altronde, che la libertà evochi fin dall’etimologia [...] un’esperienza umana che ha a che fare con una crescita relazionale che avviene in comune, con un qualcosa che aggrega, accomuna, che rende partecipi gli uni e gli altri ad un comune destino, e che, dunque, non significa affatto, se non nella corruzione dell’individualismo soggettivistico moderno e postmoderno, sottrazione ad una pratica relazionale costrittiva per ambedue [...].


Il tutorato come riorganizzazione della professionalità docente

[...]
La sintesi delle competenze precedenti si compone nel tutorato. Il cuore di questa funzione, come abbiamo visto, si coglie nel mettersi al servizio dell’originalità personale che prende forma progressivamente nella rete di relazioni interpersonali che si vivono, per sostenerla e svilupparla. In questa prospettiva, il docente è colui che, riconoscendosi ‘autore’ lui stesso, permette anche ad altri, e in particolare ai minori, di diventarlo, usando nella giusta misura tutte le competenze di cui dispone [...].

Il tutorato formale diffuso: ragioni, contesto

[...]
Ciò che va sottolineato, tuttavia, soprattutto per il settore che ci interessa, è che la transizione da un sistema educativo di istruzione e di formazione pensato anche culturalmente, oltre che istituzionalmente, da quasi due secoli come un apparato organizzato dallo stato, all’interno del quale il cittadino doveva sottoporsi all’obbligo scolastico nelle forme e nei modi stabiliti in tutto e per tutto dall’apparato stesso ad un sistema educativo di istruzione e di formazione della Repubblica, a cui concorrono unitariamente lo stato, gli enti territoriali, pubblici e privati, le istituzioni scolastiche e le famiglie, pensato in funzione della valorizzazione del personale diritto dovere di istruzione e di formazione di tutti i cittadini (per almeno 12 anni: art. 2, comma 1, lettera c della legge n. 53/2003) è il segno istituzionale, organizzativo e anche giuridico di una rinnovata e ormai sempre più condivisa consapevolezza maturata nel tempo: quella che invita a passare dalla centralità dell’astratta persona giuridica dello stato che pensa e decide al posto dei cittadini, alla centralità della persona umana concreta di ogni cittadino che pensa e decide in proprio, sebbene all’interno delle comuni regole della vita sociale, istituzionale e politica i modi del proprio «formar-si»; lo stato, e tutte le altre istituzioni sociali, quindi, mezzo e la persona umana, con le sue dinamiche relazionali, fine [...].


Le risposte della riforma
 

[...]
Proprio perché alla maturazione delle competenze del Profilo mediante gli ‘ingredienti’ elencati nelle Indicazioni nazionali non contribuiscono soltanto gli apprendimenti formali promossi nel sistema educativo di istruzione, ma giocano un ruolo significativo anche gli apprendimenti non formali e informali che l’insegnamento formale può recuperare, valorizzare e certificare, la riforma affida alle istituzioni del sistema di istruzione e di formazione ampi margini di flessibilità sia oraria sia didattico-organizzativa, che essa è chiamata a condividere cooperativamente con lo studente e con la famiglia, nell’ambito di un’offerta formativa territoriale. Per il primo aspetto, consente una distribuzione dell’orario delle attività educative e didattiche formali tra un minimo di 875 e un massimo di 1700 nella scuola dell’infanzia, e da un minimo di 891 fino ad un massimo di 990 nella scuola primaria (più eventualmente il servizio educativo di mensa) e da un minimo di 891 ad un massimo di 1089 ore (sempre più eventualmente la mensa) nella secondaria di I grado e nel II ciclo di istruzione e di formazione.

Per il secondo aspetto, mentre consente alle scuole primarie completa autonomia nella determinazione delle quote orarie da dedicare alle singole attività educative e didattiche (a maggior ragione ovviamente questo capita nella scuola dell’infanzia), autorizza, nella scuola secondaria di I grado e nel II ciclo, un adattamento locale dell’orario nazionale riportato nelle Indicazioni nazionali (o regionali nel caso degli istituti dell’istruzione e formazione professionale) fino al 15%, del totale, oltre che la possibilità di lavorare, dalla scuola dell’infanzia al secondo ciclo, per gruppi non soltanto di classe ma anche di livello, di compito ed elettivi. È previsto, inoltre, un ulteriore grado di flessibilità, determinato dalla quota dei Piani di Studio Personalizzati che dovrà essere determinata dalle Regioni allo scopo di meglio radicare i piani di studio nella storia e nelle esigenze locali.

La ricerca di un costante e armonico equilibrio tra risultati di apprendimento uguali per tutti (socializzazione) e percorsi personali che possono essere differenziati nei luoghi, nei tempi, nei modi (individualizzazione)[...].

In particolare, è compito di ogni équipe di docenti incaricati di seguire la formazione degli allievi che compongono ogni gruppo classe. Spetta a loro connettere Profilo, Indicazioni nazionali, Pof di istituto, Piani di Studio Personalizzati (PSP), e documentare questa connessione nel Portfolio delle competenze personali.

Da questa funzione tutorale di sistema, che compete a tutti i docenti, tuttavia, proprio a causa della complessità delle composizioni in gioco e del rischio che esse possano finire per essere autoreferenziali (soddisfare più chi le elabora che chi le fruisce), la riforma ha ritenuto opportuno enucleare il ruolo specifico di un docente tutor per ogni studente di ogni gruppo classe. Egli, in questo senso, dopo apposita formazione,anche con la sua permanenza per l’intera durata del corso di studi, è il garante, nei confronti degli allievi e delle loro famiglie, del diritto personale di ciascuno ad incontrare, nella scuola,
un’organizzazione degli apprendimenti formali che abbia pensato e realizzato l’armonico equilibrio di cui si diceva e che lo metta nelle condizioni di personalizzare fino in fondo gli apprendimenti di gruppo classe e interclasse di livello, di compito ed elettivi, progettati dall’organizzazione scolastica. Diventa l’ombudsman del principio pedagogico che vuole la scuola adattarsi agli allievi, non gli allievi adattati alla scuola, documentandolo, peraltro, nella costruzione, insieme ai colleghi, di PSP e nella compilazione del Portfolio delle competenze personali.

Allo stesso tempo, proprio per la sua funzione di holding, coaching e counselling nei confronti degli allievi e delle loro famiglie, è anche il docente dell’équipe di insegnamento più adatto a coordinare i compiti organizzativi, educativi e didattici che essa è chiamata a progettare e a realizzare, per combinare le esigenze di tutti e quelle di ciascuno, e anche per rendere soddisfacente e produttivo il proprio lavoro di équipe. In questo senso, è anche coordinatore.

Per il suo ruolo specifico, inoltre, il coordinatore tutor è l’unico docente che è assegnato per l’intera durata del corso di studi agli allievi di un medesimo gruppo classe. Tutti gli altri colleghi sono, invece, assegnati alla scuola (lavorano per staff) ed è l’autonoma progettualità di istituto che decide su quali progetti, compiti, problemi interdisciplinari per lo stesso gruppo classe oppure per diversi gruppi classe oppure per gruppi di livello, compito ed elettivi della stessa o di classi diverse sono chiamati a collaborare [...].

La trasformazione di questo gruppo classe in una comunità di apprendimento dove nessun membro, in nessuna attività proposta, sia escluso dall'apprendimento è un diritto per gli allievi e un dovere delle istituzioni scolastiche, che la riforma protegge introducendo due standard obbligatori di prestazione del servizio da rispettare su tutto il territorio della Repubblica.

Il primo è quello che impedisce di rompere l’unità di lavoro educativo e didattico del gruppo classe per almeno 18 ore su 27 (o più) settimanali. Solo dalle 18 alle 27-40 ore settimanali l’autonomia organizzativa delle scuole può ipotizzare eventuali attività per gruppi di classe/interclasse di livello, di compito ed elettivi non coincidenti, appunto, con il gruppo classe. La «comunità di apprendimento», per costituirsi, infatti, ha bisogno, secondo le valutazioni del riformatore, di una costanza spazio-temporale che la norma ha addirittura definito nella misura indicata fino alla fine del primo biennio della primaria. Negli anni successivi questo standard formale di organizzazione del servizio a tutela del gruppo classe scompare, ma non per questo viene meno il suo significato sostanziale. Starà alle istituzioni scolastiche e alle équipe dei docenti valutare se e quante ore ogni gruppo classe dovrà lavorare insieme per assicurare a ciascun membro la manutenzione della competenza di lavorare come «comunità di apprendimento» nello stesso gruppo grande.

Il secondo standard obbligatorio introdotto riguarda l’affidamento delle 18 ore settimanali di lavoro in gruppo classe al docente che, nell’ambito dell’équipe pedagogica, svolge il ruolo di tutor.[...] Questo standard formale, come il precedente, scompare dalla quarta classe della scuola primaria fino alla conclusione del secondo ciclo. [...] Il gruppo classe lavorerà come «comunità di apprendimento» anche con gli altri docenti dell’équipe, oltre che articolarsi in gruppi di classe/interclasse di livello, di compito o elettivi anche con lo stesso docente tutor [...].

L’unica cosa sicura è che questo modello di lavoro è incompatibile con l’attuale maggioritaria progettazione taylorista ed alveolare degli orari scolastici che prevede sempre una corrispondenza biunivoca tra docente, classe e disciplina. E che esige, invece, un fortissimo lavoro collegiale dei docenti per articolare i percorsi formativi su problemi da risolvere, compiti unitari da eseguire e progetti da concretizzare, per loro natura aperti all’interdisciplinarità e all’ologramma."


Estratti da Tutorato e tutor nella riforma di Giuseppe Bertagna.
Pubblicato in "Scuola e Didattica" n. 15, 15 aprile 2004, anno XLIX, Editrice La Scuola, Brescia 

Scarica l'inserto_completo.pdf (425375)


Fra le numerossisime pubblicazioni di Giuseppe Bertagna, ci limitiamo a riportare:
Educazione, continuità e scuola, Editrice La Scuola, Brescia, 1994;
L’autonomia delle scuole: motivazioni, problemi e prospettive, Id., (1997);
Avvio alla riflessione pedagogica: razionalita classica e teoria dell'educazione, Id., (2000);
Oltre la riforma: ripensiamo la scuola, Milano, Diesse (2001);
Pof: autonomia delle scuole ed offerta formativa, Id., (2001);
Come cambia la scuola primaria: tesi a confronto: premesse pedagogiche, indirizzi curricolari, linee metodologiche, problemi organizzativi: indicazioni nazionali e raccomandazioni per la scuola dell'infanzia e primaria, Napoli, Tecnodid, (2002).


Editing a cura di Francesco Vettori, Ufficio Comunicazione, Indire


 

 
Articoli correlati

Non sono presenti articoli correlati
di ( )