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INTEGRAZIONE

La città e i bambini

Un ripensamento delle aree urbane per fronteggiare le patologie dell'infanzia

di Francesco Vettori
09 Aprile 2004

Alcuni episodi di cronaca invitano a riflessioni sulle storture del nostro paese, a proposito dell’infanzia e dell’adolescenza. Sono tre vicende non legate fra loro, ma indicative di una disattenzione, anche politica e culturale, verso la nostra più grande risorsa: i bambini. Vicende spia di un rischio: perdere la dimensione umana. E’ proprio la dimensione e la qualità degli interventi per i bambini nell’ambiente urbano che segna la mancanza di quella consapevolezza necessaria a fornire le attenzioni dovute.

Consideriamo il fatto che siamo il paese più longevo del mondo (insieme al Giappone) e che nel 2002 sono morti in incidenti stradali con motorino (senza casco) duemila giovani non ancora diciassettenni. Un dato che dovrebbe allarmare qualsiasi comunità civile. Perché allora la pubblicità sociale, come qualsiasi altra azione di persuasione all’acquisto di prodotti per la casa o per il corpo, non viene messa al servizio di una causa per risparmiare vite giovani alla morte? 

Un altro episodio, questa volta 'privato': due giovani, ancora senza un lavoro certo, stanno aspettando un bambino; interrogandosi sul da farsi, hanno portato a termine le analisi necessarie e le pratiche per l’interruzione della gravidanza. Hanno visitato insieme l’ospedale - due piani dell’edificio distinti - di una grande città italiana dove lei potrebbe fare l’intervento: un piano bellissimo colorato e attraente dove nascono i bambini, l’altro grigio freddo impersonale dove ci si pongono gli interrogativi sulla  gravidanza. La piacevolezza degli spazi e dell’ambiente per la procreazione, che non è purtroppo ancora per tutte le cliniche, è certo una prerogativa della stessa funzione, diciamo pure in un paese normale. Ma perché allora invitare alla paura della procreazione e della gravidanza nel reparto dell’interrogazione? Se il luogo respinge, se non è accogliente può essere fatale per una decisione da prendere, specie quando si è giovani. E’ solo una negligenza degli arredatori e degli architetti oppure un disinteresse della dirigenza ospedaliera, oppure è un “sentire” comune, anzi una condivisa insensibilità  verso la vita da parte di un paese ricco? Le strutture sociali, con il personale che le abita, sono giustamente messe a dura prova là dove la nascita e la vita possono avere corso. Ma qualcosa deve cambiare - non occorre molto e nemmeno grossi investimenti - a cominciare dalla “simpatia e attenzione” del personale all’accoglienza degli spazi.

Il terzo episodio riguarda la città di Firenze, i cui cittadini più avveduti hanno già dato prova all’incontro del Social Forum di possedere straordinarie doti: è di questi mesi, nel capoluogo toscano, l’autoconvocazione di tanti cittadini volenterosi che hanno stilato una sorta di decalogo-programma ad uso politico per i prossimi amministratori della città. Tuttavia il documento ufficialmente diffuso contiene tre righe e mezzo di attenzione ai bambini sul totale di 6.150 (sono 125 pagine). Perché anche i Laboratori per la Democrazia Partecipata e il Movimento sono così disattenti alla nostra più grande risorsa, nonostante la progettazione partecipata includa anche i bambini?  Perché il gruppo che si è occupato della “Città vivibile e qualità della vita” non ha dedicato nemmeno un piccolo paragrafo all’infanzia? Eppure i luoghi urbani dovranno essere reinventati e anche la vita nelle città dovrà cambiare radicalmente proprio a partire dalle esigenze dei più piccoli. 

In una lettera struggente, piena di amore per la vita e per le esigenze dei bambini, Norberto Bobbio scrive a Francesco Tonucci: “Una volta i bambini avevano paura del bosco, dove s’incontravano i lupi e le streghe cattive, mentre si sentivano al sicuro in città. Ora le parti si sono rovesciate, perché la città è diventata ostile: grigia, aggressiva, pericolosa, mostruosa […]”. (N. Bobbio, La Città dei Bambini, Bari, Laterza, 1997). Bobbio disegna esattamente il quadro delittuoso e triste delle città italiane, in cui vivono malissimo i bambini. Quasi dei rifugiati nelle case, hanno oramai abbandonato anche i giardini pubblici, oltre che  i marciapiedi.

Ci stiamo avviando verso la costruzione di una patologia dell’infanzia che, come ci dice Luigi Paolo Roccalbegni, è la “perdita del sé”, a cui va addebitata principalmente la dipendenza televisiva ma a cui concorre sicuramente la città come oggi si presenta.
Non valgono le spettacolari iniziative di alcuni comuni, come l’episodio de 'La liberazione dei cortili', anche se sono la dimostrazione che la questione degli spazi per l’infanzia si deve affrontare fra tanti alleati della stessa causa. Nella stessa direzione della restituzione di una forte consapevolezza di ciò che possono fare i media per educare i bambini e gli adulti all’uso democratico della città, si devono ricordare i TG MINIMI realizzati dal regista Stefano Scialotti per TG3.
Si dovrà annotare che dalla fine degli anni ottanta si sono sviluppate diverse iniziative rivolte al miglioramento fruitivo di strutture ospedaliere, non solo di reparti pediatrici nelle grandi città (Umberto 1° a Roma, Ospedale Meyer a Firenze), ma è stato avviato anche un dibattito che si è proposto di colmare il gap con altri paesi europei sul tema dell’estetica e degli spazi del dolore (Arte e Ospedale, Fondazione Michelucci a Firenze) che ha riguardato anche esperienze infantili in aree dell’est europeo (Bambini in Emergenza in Romania).
E’ dei primi anni novanta uno straordinario esperimento a Fano condotto da Francesco Tonucci, che esprime finalmente tutta la carica innovativa in tema di partecipazione dei bambini alla definizione di un proprio spazio di influenza nella città urbana: casa, strada, giardino, piano regolatore, scuola, giochi, diritti, strutture pubbliche, trasporti, ecc.
Da lì in poi si comincerà anche a porre la questione politica e amministrativa dei “Consigli dei Bambini”, che lo stesso Tonucci ha fatto ragione di tante battaglie culturali e istituzionali in Europa e in America Latina.
Intanto nel paese si è fatto più serrato il bisogno di servizi che vadano a corroborare l’azione educativa e istituzionale di scuole materne ed elementari, e non solo. Sono nati a tale proposito diversi esperimenti di “musei”, “parchi”, “città”, “centri” attraverso investimenti di amministrazioni pubbliche, private associazioni, imprenditori o volontari cittadini.
Le differenze geografiche, storiche e culturali dentro la stessa penisola hanno prodotto straordinari esempi di risposte alle istanze sociali, differenziandosi quasi per “vocazione” territoriale (Arte a Firenze, Design a Milano, Riciclo a Torino, Gioco e Socialità a Ravenna, ecc.): una situazione unica in Europa.
Ne sono testimonianza la qualità di queste “eccellenze”, la dedizione e l’attenzione alle soluzioni laboratoriali interne, gli arredi, la comunicazione innovativa, ma è evidente che pur essendo un’avanguardia non riescono a muovere il quadro generale della domanda e dell’offerta, che invece avrebbe bisogno di un’estensione maggiore.
Una politica di incentivazione delle esperienze metropolitane (vedi articolo correlato La città per i bambini) sull’infanzia sarebbe di aiuto, senza cancellare le differenze di genere, che invece ne fanno la loro ricchezza.

Di Edoardo Malagigi, professore all'Accademia di Belle Arti di Firenze.

Immagine tratta dall'archivio Dia di Indire

editing a cura di Francesco Vettori, redazione webzine, Indire 

 
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