di Catia Cantini
15 Aprile 2004
Il termine sussidiarietà, dal latino 'subsidiarium' (subsidere: ‘abbassarsi’, ‘chinarsi sul ginocchio’), indicava in origine la retroguardia dell’esercito romano, quella che restava dietro al fronte pronta a intervenire in caso di bisogno, e allude propriamente alla postura dei combattenti, i quali solevano soffermarsi col ginocchio destro piegato e la gamba sinistra protesa, con gli scudi appoggiati sugli òmeri e le aste conficcate obliquamente in terra. Da quest’idea di forza compatta, dinamica e solidale deriva il significato più generico di rinforzo, soccorso e aiuto.
Le prime formulazioni filosofiche della sussidiarietà risalgono al pensiero aristotelico, dove tale concetto designava la funzione prevalentemente ordinatrice della civitas greca - l’autorità - in vista della preservazione del bene comune, assegnando al cittadino il ruolo decisamente più attivo della creazione della società, un ruolo che implica larga autonomia ma anche responsabilità. Nel corso dei secoli il principio è poi rimbalzato dalla filosofia all’ambito giuridico-economico, divenendo oggetto di riflessione di alcuni esponenti di punta della cultura europea, quali San Tommaso D’Aquino, Locke, Tocqueville e Malthus.
In epoca moderna è tornato alla ribalta entrando sulla scena del diritto internazionale con il Trattato di Maastricht (1991), in cui, all’articolo 3B, è sancito tra i principi costituzionali dell’Unione Europea che “la Comunità interviene secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni e degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati a livello comunitario”. Gli Stati membri s’impegnano, quindi, a promuovere il processo di creazione di un’unione sempre più stretta fra i popoli d’Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini. Inteso come strumento atto a garantire il soddisfacimento dei fabbisogni individuali, esso ribadisce la centralità della persona quale paradigma degli orientamenti comunitari. Negli ultimi anni il dibattito sulla sussidiarietà ha animato vivacemente anche i tavoli italiani, coinvolgendo pertanto il vasto settore dell’educazione.
Sul piano giuridico è necessario distinguere tra ‘sussidiarietà orizzontale’ e ‘sussidiarietà verticale’. La prima allude al principio ordinatore dei rapporti fra Stato, formazioni sociali e individui; la seconda afferma, invece, i criteri della distribuzione del potere pubblico tra centro e periferia, ovvero la distribuzione delle competenze tra Stato e autonomie locali, in un’ottica che pone in secondo piano il potere centralizzato a favore di una prospettiva federalistica. In altri termini, le autorità più alte intervengono per coordinare le iniziative prese a livello locale, incentivando così lo sviluppo della cittadinanza attiva e valorizzando la “genialità creativa dei singoli”.
Immagine tratta da AA.VV., La Colonna Traiana, Einaudi, Torino, pag. 311
di Catia Cantini, Servizio EdA [c.cantini@indire.it]
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