di Leonardo Bartoletti
08 Giugno 2004
Esiste già un popolo che si sente europeo, probabilmente quello adulto. Ma, secondo lei, esiste un popolo giovane europeo che può essere l’interprete di una cittadinanza attiva e solidale e della costituzione di questa cittadinanza?
Occorre prima di tutto stabilire due punti: non è necessario che si formi, sul piano culturale un popolo europeo nel senso unitario e omogeneo della parola, perché ci possa essere una costituzione europea, come hanno sostenuto alcuni autorevolissimi costituzionalisti a partire dal tedesco Dita Grimm. Il processo di costituzionalizzazione può anche favorire, anzi in genere storicamente ha favorito, la formazione di un popolo. Il problema fondamentale oggi della mentalità europea è che il sentimento di appartenenza all’Europa è proprio non soltanto di una generazione adulta ma anche di una generazione che rappresenta tutto sommato una élite culturale. Alcune élite culturali si sentono europee e dialogano come fossero dentro la medesima identità europea: scrittori, intellettuali, politici.
Viceversa i giovani non si sentono propriamente europei: si sentono piuttosto italiani e abitanti del global village, francesi e cittadini globali, britannici naturalmente o tedeschi e cittadini globali. Questo pone un problema molto serio: l’Europa è una identità ancora molto labile e umbratile e forse anche poco interessante per i giovani. Questo dipende, a mio parere, dalla sottovalutazione nei vari luoghi di formazione, dalla scuola all’università, della attuale fase del mondo globalizzato: una fase in cui le nostre identità nazionali, anche se rilevanti, andrebbero in secondo piano. Noi ad esempio ci illudiamo di poter essere italiani e potere, come dire, sfidare il mondo senza passare per l’Europa. Questo è impossibile, questa è una pia illusione.
Oggi l’Europa, come sostengono alcuni studiosi, si è provincializzata: l’identità europea è percepita dagli altri, siano essi americani o asiatici, come una identità provinciale. E’ quindi necessario sprovincializzare l’Europa e ricostituire il senso dell’identità europea come unica condizione per poter giocare le nostre carte, anche culturali, davanti ai due colossi dell’età globale: Stati Uniti e Cina. Essi propongono modelli alternativi ma estremamente influenti di globalizzazione. L’Europa deve riuscire a proporre un suo modello di globalizzazione. Mentre credo che i nostri giovani facciano viaggi ad Oriente e Occidente, nel globabalizzarsi, senza pensare ad una alternativa europea. Naturalmente l’Europa è la madre dell’Occidente americano e noi siamo legati all’America da tante cose; però non possiamo essere schiacciati sul modello americano di occidentalizzazione.
Dobbiamo proporre una nostra via, una nostra visione, autonoma dell’individuo e della comunità: una idea di individuo diversa dall’individualismo competitivo americano, che oggi è perdente nel mondo, una idea di comunità non gerarchica, non autoritaria, non paternalistica come quella che ci viene proposta dal colosso cinese. Tertium datur: io credo che l’Europa sia chiamata a sostenere questa sfida.
Intervista di Leonardo Bartoletti, Ufficio Stampa Indire
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