Testimonianze

Spazio Ciari

I ricordi dell’ex allievo Carlo Boccacci

L’AULA di Bruno Ciari.

Nell’immagine la scuola in cui ha insegnato Bruno Cari, oggi a lui intitolata. Il balconcino al primo piano corrisponde esattamente all’aula in cui teneva le sue lezioni.
L’ingresso dell’aula al primo piano in cui si trovava l’aula di Ciari. Sulla porta di ingresso: il suo ex allievo Carlo Boccacci, rientra per la prima volta in quella che fu la sua aula nel 1954

L’aula in cui Bruno Ciari faceva il maestro a Certaldo si trova al primo piano dell’edificio scolastico costruito nel 1932. La struttura accoglieva al piano terra le femmine e al primo piano i maschi e aveva un’ala dedicata alla scuola media. A Ciari era stata assegnata un’aula, prima inutilizzata, che “era grandissima, la più grande che c’era” – ricorda l’alunno Boccacci – proprio al centro del primo piano e dotata di un piccolo balconino. Per avere contezza delle dimensioni realmente ampie dell’aula (non solo percepite così dalla prospettiva del bambino di allora) basti considerare che oggi è stata suddivisa in 3 differenti aule.

D’altra parte lo spazio ampio era necessario per poter organizzare l’aula e le relative attività esattamente come Ciari immaginava. Era cioè necessario che consentisse lo svolgimento in contemporanea di più attività della classe suddivisa a gruppi. Secondo i ricordi di Boccacci, si entrava e nella parte a destra si trovavano i banchi e la cattedra. Nelle altre zone dell’aula si trovavano i tavoli dedicati alle specifiche attività. Si trascorrevano nei banchi a far lezione le prime due ore. Dopo di che, in base alle attitudini degli alunni, la classe era divisa in diverse attività: pittura, tipografia scolastica, scienze. Vi erano quindi dei grossi tavoli sui quali si lavorava.

 

 

Il Primo giorno di scuola – Ottobre 1954

Tutte le mattine alle 8, a partire dal primo giorno, chiacchiericcio delle madri su maestri e maestre, qualche piagnucolio dei bambini del primo anno col fiocco rosa, trepidazione e qualche sbadiglio degli altri. Io, ragazzi di campagna, ero solo timido ma curioso e pronto per questa nuova prova iniziatica. Una cartella, il libro, un quaderno e una mela. Questa era mia dotazione.

Suona la campanella, mia madre al volo mi ricordò di mangiare la mela, quindi scalinata di pietra serena e tutti in classe al primo piano col maestro a fare strada. A metà corridoio entriamo in un0aula grandissima e luminosa, assai più grande di casa mia nel Pian di Sotto. Per metà era riempita da banchi, l’altra parte era occupata da tavoli con varie attrezzature. In poco tempo il maestro c’introdusse in questo nuovo mondo: la Scuola.

Immagine odierna di quella “scalinata di pietra serena” che, dall’ingresso della scuola, conduce al primo piano dove si trovava l’aula in cui Ciari faceva lezione

IL maestro, che era un uomo carismatico e ispirato, riusciva con naturalezza a catturare la nostra attenzione, sicuramente la mia. In pochi giorni con quei tabelloni con le figurine colorate riuscì a farci conoscere il suono e il valore delle lettere. Ricordo ancora il primo gioco che consisteva nel nominare ad alta voce un vocabolo che iniziava con la lettera da lui suggerita che non era sul tabellone, partendo dalle vocali. Pronti via! Il maestro disse A.

Io prontissimo risposi, quasi urlando, “Aria!”. Il maestro interruppe per un attimo il gioco e mi lodò di fronte a tutti perché infatti la figurina dell’aria sul tavellone non c’era e non ci poteva essere perché non era disegnabile. Questo fu solo l’inizio, ma tutti in breve tempo imparammo a leggere e scrivere anche se in modo incerto e con calligrafie leonardesche. Qualche mese dopo però davamo già alle stampe le nostre prime opere sul primo giornalino.

Ciari musicista e Musichiere

Come sapete, nel dicembre 1957 la Rai mandò in onda in televisione, presentata da Mario Riva, la famosa trasmissione “Il Musichiere” che ebbe subito un grande successo dovuto al fatto che era basato su un gioco molto semplice. Gorni Kramer accennava con la fisarmonica e la sua orchestra un motivo di una canzone e i due concorrenti, seduti su due sedi, appena individuato il titolo, dopo una breve corsa e dopo aver suonato una campanella, il primo arrivato doveva comunicare ad alta voce il titolo. Se aveva indovinato acquisiva u punto, se no toccava all’altro concorrente provare ad indovinare ed acquisire lui o lei il punto. Questo in breve era il gioco. Il maestro Ciari, che era un bravo fisarmonicista, non poteva non aver voglia di riprodurre questo gioco a scuola.

La televisione stava entrando pian piano in quasi tutte le case. La mia era fra le “quasi”. Mio padre, non potendo permettersela, comprò all’inizio del 1958, da Borghino, una bellissima radio Magnadyne e, per noi campagnoli del Pian di Sotto, fu un bel passo in avanti rispetto a quella radio a galena che avevamo. Ascoltavamo e ascoltavo di tutto, canzoni, sport, giornale radio, ecc. All’inizio dell’anno (era il 1958) le giornate erano corte e fredde e noi tre fratelli piccoli, mio padre che lavorava a casa e mia madre, eravamo tutti in adorazione di questo elettrodomestico che allargava gli orizzonti del nostro piccolo mondo. Il maestro Ciari, nel frattempo, con noi allievi capi gruppo che invitata a casa sua in fondo al viale Matteotti si preparava al grande evento. Dopo aver discusso con noi di cose e progetti scolastici da effettuare in classe, sotto l’occhio tra il divertito e il perplesso di sua madre Paolina e dei gatti, a fine serata ci deliziava con la sua fisarmonica. Un po’ di tempo dopo il maestro cominciò a parlare del Musichiere che alcuni di noi (pochi e io non ero tra questi) avevano visto come il maestro al bar o alla Casa del Popolo. Qualche mese più tardi, a primavera, tutto era pronto per il grande evento. Il maestro era riuscito ad avere il permesso dal direttore scolastico di organizzare il Musichiesre con le altre classi nella nostra aula a fare il pubblico. Il grande giorno finalmente arrivò. La nostra aula sgombrata da tutti i banchi e i tavoli era completamente libera per il gioco. Noi, a due a due, eravamo i concorrenti. Le sedi di partenza erano pronte e pure il “tabernacolo” con un campanello. Le altre classi (con maestre e maestri, ….) tutte schierate a fare il pubblico, curiose, trepidanti. Il maestro Ciari, dopo aver sistemato tutto, si era infine seduto con la sua fisarmonica pronto per iniziare il gioco. Noi suoi allievi dovevamo gareggiare tutti. Partimmo e, coppia dopo coppia, a eliminazione diretta, ci trovammo al girone finale. Io, tra la sorpresa di tutti, compresa la mia, ero tra i finalisti. Ancora scontri con eliminazione diretta e grande tifo del pubblico non pagante. Inaspettatamente mi trova in finale io che non avevo mai visto il Musichiere e il mio compagno [si omette il nome e cognome, NdR.] ormai grande favorito. Parte il motivo dell’ultima canzone e né io che fino a quel momento ero scattata sempre come una molla avendo il tutolo in testa e bruciando i miei avversari con la corse, né il mio compagno conoscevamo quel titolo. Eravamo bloccati sulle sedie di partenza trepidanti pronti a scattare verso il campanello. Avevamo gli occhi di tutti il pubblico addosso, il maestro continuava ad accennare il motivo. Alzando gli occhi vedo la maestra P. muovere le labbra per cantare senza voce “tornerai”, io in un lampo ero sul campanello: “tornerai!!!”. Il maestro Ciari conferma: giusto.

La sarabanda finale con tutto il pubblico, allievi, maestre e maestri compresi, che applaudiva e faceva confusione ve la lascio solo immaginare. Il nostro Bruno Gorni Ciari era entusiasta del successo ottenuto dall’evento ed io solo ero incredulo per quella vittoria: non avevo mai visto il Musichiere, ma avevo solo ascoltato il Magnadyne.

 

L’Era spaziale

Nel 1957 e negli anni che seguirono, in classe la mattina e a casa del maestro nel pomeriggio, iniziò la nostra era spaziale. Noi che fin dalla pria elementare eravamo oltre che normali scolari, pittori, scrittori, compositori, stampatori, piscicultori, allevatori di criceti, agricoltori, fotografi, archeologi, storici, coristi, musichieri e tanto ma tanto altro, ci trovammo impegnati ad affrontare il problema più attuale allora per l’umanità intera….Il problema del volo ma più in particolare del volo a reazione.

Lo sputnik sovietico e la cagnetta Laika ma soprattutto il maestro Ciarsi ci avevano letteralmente conquistato alla causa. L’Unione Sovietica per il momento era prima nella gara per lo spazio, l’America seconda e noi ci stavamo attrezzando…In classe già dal 1958 avevamo l’enciclopedia Conoscere che dedicava al volo un bel po’ di pagine ben illustrate ma, chiaramente il nostro von Braun era il maestro che attingeva notizie da testi sicuramente più documentati e approfonditi. Dopo aver sperimentando, ripercorrendo un po’ di storia, il volo a vela con gli aquiloni fatti volare nei campi o sul poggio del Boccaccio, passammo a costruire modellini di aerei (in legno di balsa) superleggeri ad elica mossa da elastici avvolti. Non sto a dire che tutti questi esperimenti ebbero risultati eccellenti dal punto di vista tecnico-scientifico, ma soprattutto ludico per tutti noi ed anche per il pubblico estraneo che a volte assisteva. Questi risultati in effetti ci avrebbero potuto appagare ma ormai eravamo in gara con le superpotenze e non ci potevamo certo sedere sugli allori…Quindi verso la fine dell’anno scolastico ed anche nelle vacanze estive cominciammo a dedicarsi al problema del volo a reazione. Studiammo intensamente (soprattutto il nostro von Bruno) razzi, propellenti, ugelli e materiali da costruzione. I temi sul tappeto erano difficile e “leggermente” pericoli da trattare (soprattutto visti con la logica di oggi). Mi ricordo che la signora Paolina, la madre di Ciari, quando ci vedeva mescolare in certi pentoloni (a casa sua nel pomeriggio e sui fornelli) zucchero, zolfo, salnitro, polvere nera e altre “spezie” del genere ci domandava che tipo di polenta o torta stessimo preparando. La risposta seria del maestro, tra le nostre risate un po’ smorzate, era che si trattava di una nuova ricetta e che, se veniva bene, forse si assaggia e si sarebbe proposta a qualche pasticceria. In sostanza preparavamo queste creme caramellose per poi solidificarle e inserirle in certi tubi di cartone rinforzato con filo di ferro con su un lato la punta di legno fatta realizzare da qualche falegname e dall’altro lato un ugello anch’esso di legno da dove sarebbero dovuti uscire i gas di reazione una volta innescato il propellente che avrebbe dovuto bruciare senza esplodere. Gli esperimenti e gli studi, dopo alcuni fallimenti sul campo (nel senso di prati) un po’ pericolosi ma sempre molto divertenti, proseguirono anche nel 1959 fino alla realizzazione di un prototipo di razzo tutto metallico (in alluminio e acciaio) che era, si può dire, un modellino degno dei nostri competitors russi e americani. Mi sembra di ricordare che il primo volo ufficiale del suddetto prototipo sia stato effettuato alla fine dell’anno scolastico 1959-60, alla fine delle vacanze estiva. L’oggetto volante saliva su bene per qualche centinaio di metri. Purtroppo non riuscimmo mai a metterlo in orbita. Il compito comunque era stato portato a termine in odo eccellente e con piena soddisfazione da parte del nostro maestro von Bruno e della sua équipe di tutti noi allievi e apprendisti stregoni. La storia è proseguita con i russi che per primi sono adnati nello spazio, gli americani per primi sulla Luna, il nostro maestro von Bruno prima a Bologna e poi purtroppo in cielo, mentre noi siamo rimasti ad affrontare le altre sfide della vita.