di Costanza Braccesi
25 Luglio 2005
Domande apparentemente illogiche ma ricche di intuizioni fulminanti che nascono da una visione "vergine" del mondo e da una sorta di "stupore intelligente". I bambini possono essere davvero interlocutori brillanti e parlare con loro può divenire un'occasione per misurarsi con problemi etici, logici ed ontologici di varia natura.
Gold, questo mese, propone come buona pratica un’esperienza concreta di filosofia con i bambini che è stata realizzata presso il nono circolo “Primo Ciabatti” di Perugia e che ha avuto tra gli obiettivi quelli di stimolare la riflessione e di sviluppare il processo logico degli alunni, tramite l’auto-osservazione delle attività svolte in classe. Ma Gold approfondisce ulteriormente la riflessione su questo tema presentando le interviste a quattro filosofi che danno il loro parere sulla filosofia "dei" e "con" i bambini e sui legami tra l'educazione al pensiero e le altre discipline del curricolo scolastico.
Vittorio Hösle e Fabrizio Desideri sul versante universitario, Antonio Cosentino e Gaspare Polizzi su quello della scuola e della formazione degli insegnanti: quattro voci concordi nel riconoscere il potenziale dell'educazione filosofica dei bambini, ma con posizioni divergenti per quanto riguarda, ad esempio, la validità o meno dell'introduzione della materia "filosofia" come disciplina a sé stante o il tipo di approccio più utile per introdurre i bambini al ragionamento filosofico. Le interviste prendono spunto da un incontro fortuito avvenuto a Princeton tra la professoressa Marisa Trigari, curatrice delle interviste, e il professor Hösle, autore del libro "Aristotele e il dinosauro", autentico epistolario filosofico con una bambina tedesca di undici anni, Nora K.
I professori intervistati sono sostianzalmente d'accordo nel sostenere che l'educazione filosofica dei bambini non ha purtroppo fatto grossi progressi negli ultimi anni e le sperimentazioni in questo campo sono da loro ritenute ancora marginali, soprattutto per quanto riguarda la scuola primaria. Eppure la "Philosophy for children" non è nuova: nata negli anni '70 con Matthew Lipman, filosofo e fondatore dell'Institute for the Advancement of Philosophy for Children (IAPC), essa ha avuto ampio seguito e diffusione prima negli Stati Uniti e poi nel resto del mondo. Trova la sua ispirazione nel pensiero di John Dewey, profondamente convinto che la filosofia dovesse costituire una fondamentale risorsa educativa a tutti i livelli d’istruzione, ma affonda le sue radici anche nel pensiero di Lev Vygotsky, psicologo russo del novecento che ha approfondito le connessioni tra la discussione in classe e lo sviluppo del pensiero dei bambini e di Jean Piaget, profondamente interessato ai rapporti tra pensiero e comportamento.
Secondo Matthew Lipman, l’esercizio critico del pensiero, l’incontro con temi e problemi che stimolano la ricerca di conoscenza, il confronto con diverse ipotesi di interpretazione del mondo e con diversi percorsi logici devono essere un elemento essenziale in ogni percorso di formazione ed è necessario che siano offerti precocemente, addirittura già a livello di scuola elementare. "Fare filosofia" con gruppi di allievi di età compresa tra i 3 e i 18 anni permette infatti di sviluppare abilità di pensiero di ordine creativo ed etico, di approfondire le situazioni in modo analitico e di esplorare le possibili alternative, trovando soluzioni originali per risolvere in modo costruttivo i problemi quotidiani. Ma non solo. Riconoscere e condividere le emozioni e portare avanti attività di pensiero socializzata possono essere un buon metodo per accrescere l'abilità di comunicazione efficace e di gestione del conflitto, incrementando l'empatia e la capacità di controllo delle emozioni e dello stress.
Inoltre, la filosofia può migliorare l’apprendimento di tutte le materie del curricolo scolastico: ad esempio far seguire alla lettura in classe di un romanzo o di una poesia una riflessione collettiva, osservare con spirito critico un dipinto, porsi con mentalità analitica di fronte a una dimostrazione scientifica sono tutte attività che possono indurre i bambini a riflettere sulle esperienze fatte - disciplinari e non - e a "partorire" conoscenze, andando alla ricerca di ciò "che è" o "non è" o di "come potrebbe essere" una cosa. Trasversalmente a tutte le discipline è da sottolineare certamente come l’educazione al pensare e l’etica del dialogo possano far aprire i futuri cittadini al senso della “cittadinanza attiva”, aiutandoli a sviluppare una forma mentis aperta al senso di responsabilità, giustizia, collaborazione e cooperazione.
Ma come portare concretamente nelle classi dei più piccoli la filosofia? L'idea di Lipman è quella di creare una vera e propria "comunità di ricerca" (sia nelle classi di scuola materna ed elementare che nei gruppi di formazione degli insegnanti) in cui tutti, insieme, costruiscono conoscenza, dialogando su problemi e questioni di natura filosofica, sul valore della vita, il pensiero, il rapporto mente-corpo, la verità, la giustizia. L'insegnante in questo contesto diviene un "facilitatore" del processo di ricerca, che segue e stimola attraverso l'uso di domande aperte, interventi di chiarificazione e approfondimento, ricerca di criteri procedurali comuni e condivisibili che non tradiscano mai lo spirito della ricerca e dell'indagine, necessariamente aperta e potenzialmente interminabile. Ovviamente la gestione di un'esperienza educativa di questo tipo richiede una formazione specifica: in Italia, programmi di formazione per docenti sono organizzati, tra gli altri, dal CRIF - Centro di Ricerca sull'Insegnamento Filosofico di cui Antonio Cosentino è fondatore e direttore.
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